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SULL�ACCOGLIENZA
M.GABRIELLA PETRALITO

Intervento presentato ad un Corso per II PP organizzato dal DSM ASL Roma G, Giugno 2003

 

Perch� l�accoglienza ha tanta parte nel lavoro svolto nell�istituzione psichiatrica?

Perch� parlarne ancora?

Il nostro lavoro si colloca � in ogni caso e in ogni ambito � nella capacit� di accogliere, eppure vi � bisogno di un�ulteriore "specialistica".

A mio parere l�accoglienza corrisponde a un�area ove si addensano nuclei problematici di ordine traumatico e conflittuale.

  1. Al di l� dei possibili modelli organizzativi che ciascun Servizio pu� praticare, c�� bisogno di elaborarla, l�accoglienza, perch� si tratta di una condizione traumatica (per chi fa domanda e per chi risponde) data dall�incontro stesso, dalle spinte che lo in-governano.
  2. Su un presupposto di base importante da tener presente: la reciproca ignoranza. Ovvero il non-sapere del paziente su di s�, su chi sono questi altri � anonimi � cui chiede aiuto; il non-sapere dell�istituzione sul paziente, sulla sua storia e sul motivo per cui � l�; il non-sapere di entrambi rispetto alla cosa che agisce e agita il soggetto che soffre, e che � qualcosa di diverso dal sintomo denunciato e dalla diagnosi che se ne pu� trarre.

    Sappiamo che � necessario avvicinarsi con cautela a questa cosa dannata ma anche preziosa in quanto costituisce una parte di s�, e che rimarr� sempre con un fondo di ignoto: pi� che in altre discipline siamo consapevoli di non "guarire" l�altro, semmai di curarlo pi� o meno bene e di aiutarlo a prendersi cura di s�.

    Tali parti estremamente sofferenti vanno trattate con cautela e delicatezza, rispettandone le difese, evitando di sovrapporre pesantemente le nostre griglie "interpretative" in cui il paziente si sentirebbe imprigionato (con tutte le conseguenze di ordine persecutorio) o esplicitando inutili indicazioni passe-partout (che il paziente ha gi� ricevuto a bizzeffe). E� necessario a questo punto ricordare che certi tipi di risposta inadeguata o inopportuna data al paziente sono soprattutto frutto delle difese degli operatori, per il fatto stesso che ci troviamo entro un�area traumatica.

    Comunque, l�ambito rispetto al quale possiamo immediatamente operare � quello della relazione, da cui ogni paziente, per qualsiasi branca medica, si attende molto. E il "nostro" paziente ha gi� un�aspettativa forte in tal senso, per informazioni pi� o meno dirette che ha sulle funzioni di un ambulatorio psichiatrico.

    Vedremo meglio in seguito quali possono essere i principali e specifici punti problematici dei primi approcci con un paziente; vale la pena qui sottolineare l�aspetto pi� generale: indipendentemente dal modello di accoglienza utilizzato nei singoli Servizi, c�� sempre il rischio della perdita, in entrambi i poli in questione (pazienti � operatori ).

    Dato un incontro, pu� sempre accadere un evento, programmato o imprevisto, tale per cui l�incontro non ha s�guito.

    Ci� accade continuamente nella vita (separazioni, lutti, allontanamenti) ma nel nostro lavoro quotidiano con questo aspetto dobbiamo fare massicciamente i conti, sia nella gestione della relazione terapeutica sia nei processi identificativi col paziente.

    A volte, quasi sopraffatti dalla mole dell�impegno, abbiamo una reazione di sollievo alla notizia che un paziente non viene pi� (perch� non si trova bene con noi, o perch� ha cambiato luogo di residenza o per altri motivi). Questa reazione di totale sollievo � apparente: la nostra parte narcisistica ne soffre e contemporaneamente si difende dalla sofferenza. D�altra parte sappiamo bene di incontrare una quota di sofferenza anche quando c�� una buona conclusione del rapporto terapeutico � in quanto perdiamo qualcuno che abbiamo accompagnato e che ci ha accompagnato e non ne sapremo forse pi� nulla.

    Chi si trova, in virt� di modelli organizzativi e/o anche per scelta, ad occuparsi pi� di altri nel Servizio dei primi contatti con i pazienti, � pi� esposto a quest�area traumatica.

    Su tale considerazione si pu� pensare che gli strumenti utilizzati (schede, registrazioni, ecc.) abbiano fondamentalmente una funzione difensiva e secondariamente una funzione di raccolta di dati e di passaggio di informazioni (il termine stesso di "informazione" appare depurato da elementi relazionali-affettivi, tanto � vero che spesso c�� bisogno di riproporre il "caso" in contesti dove tali elementi possano essere trasmessi o � al meglio � elaborati: riunioni d��quipe, di servizio, contatti con il curante destinatario, ecc).

  3. Sullo sfondo di quella che pu� essere definita area traumatica di base vanno a delinearsi delle configurazioni di tipo conflittuale che possiamo immaginare come crinali sui quali gli operatori formulano complesse operazioni di equilibrio, se non proprio di equilibrismo:
  1. spinte trasformative in opposizione a spinte regressive
  2. organizzazione " deontologia
  3. controllo sociale " richiesta soggettiva

 

  1. Il crinale tra spinte trasformative e spinte regressive � pi� facile da individuare nel paziente ma non meno presente nell�istituzione. Per esempio ci attendiamo inevitabilmente che il paziente si adatti subito ad una progettualit� preconfezionata, perch� riconosce di star male e dichiara di voler stare bene. Pu� darsi allora che veniamo presi da quel "fare" che sembra riabilitare il paziente e che si rivela invece favorire o addirittura pervertire le spinte regressive
    In teoria l�istituzione dovrebbe consentire un certo gioco, una certa flessibilit� che possa assumere e contenere lo stesso conflitto del paziente, e dunque darsi il tempo di individuare, con il paziente, la direzione (nel senso di indirizzo) della cura.
    Insomma bisogna ricordare che in ogni presentazione che il paziente fa di s� pu� celarsi un autoinganno inconsapevole che dobbiamo rispettare ma non rinforzare: lo svelamento precoce del conflitto interno del paziente pu� fortemente spaventarlo anzich� rasserenarlo; cos� come il dare credito solo alla parte sintomatica pu� innescare reazioni di iperdipendenza o di rigetto della cura.
  2. Si inserisce qui il secondo crinale dove gli operatori sono chiamati al rispetto della massima trasparenza nel rapporto con il paziente, utente di un servizio nel pieno dei propri diritti. Ma gli operatori, allo stesso tempo, devono confrontarsi con la necessit� dell�organizzazione . Organizzazione che � di massimo aiuto in un lavoro come il nostro in cui il "fattore umano" va sempre governato. Ma le logiche istituzionali (esplicite o implicite) di tutte le istituzioni sono a volte fuori-legge e sempre asimmetriche.
    Sono asimmetriche per loro natura in quanto offrono percorsi e protocolli definiti che vanno assunti dalla collettivit� per ottenere risposte adeguate e funzionali : si pu� discutere della bont� o meno di tali protocolli ma i protocolli in s� sono ineliminabili ( per es. l�impiegato di banca pu� muoversi liberamente nello spazio della filiale mentre il cliente deve rimanere entro confini limitati).

Sono fuori-legge perch� contengono nicchie dove regole generali e universali possono essere disattese senza mettere in crisi l�istituzione. Per esempio nell�istituzione famiglia � consentito dare una sculacciata al figlio bambino che ha commesso una marachella; lo stesso gesto, per lo stesso bambino e per la stessa marachella non � consentito, nella legalit� corrente, in altri ambiti istituzionali con finalit� educative (la scuola).

Nelle istituzioni di cura, i cui utilizzatori si trovano in condizione di passivit� e bisogno, pu� accadere di scivolare dalla asimmetria al fuori-legge. Non parlo qui dei grandi soprusi facilmente riconoscibili ma di codici interni che gli operatori usano per abitudine senza metterli in discussione, codici sui quali gli utenti diventati pazienti devono in qualche modo adeguarsi (basta osservare la vita quotidiana in un reparto di degenza ospedaliera).

Per quanto concerne il nostro lavoro si pu� riflettere, per esempio, se siamo in grado di fornire le stesse garanzie di privacy di una banca, soprattutto a chi si avvicina per la prima volta e non conosce il linguaggio interno all�istituzione.

  1. Il nostro utente-paziente, comunque, "sfugge" quasi per definizione ai protocolli e alle procedure che inventiamo per poter lavorare con lui. Cos� come sfugge alle diagnosi, utili a "inquadrare" il caso ma insufficienti a contenerlo tutto. E il caso a volte sembra allearsi con la nostra impotenza . Il sentimento di impotenza, a sua volta, pu� trovare una complicit� nel settore del mandato sociale che comprende il controllo.
    Da un punto di vista psicologico il paziente ci rappresenta, ovvero rappresenta le nostre capacit� di curarlo. Curandolo curiamo quella parte di noi che ha bisogno di riparare l�altro. Quando il paziente sfugge alle nostre cure attiviamo le difese, per lui e per noi, e la necessaria protezione del paziente viene rinforzata sia dalle nostre angosce di perdita sia dal mandato di controllo sociale ( per non parlare della responsabilit� di ordine penale).
    In tutto ci� c�� il rischio di perdere di vista la soggettivit�, il senso sotteso alla sofferenza e anche il riconoscimento del limite (nostro e dell�altro).

Il lavoro dunque dell�accoglienza � un lavoro perennemente in bilico .

Ha necessit� di essere sostenuto e monitorato attraverso il lavoro di gruppo e non slegato dal resto del servizio.

Il caso nuovo richiede una lettura immediata che ha bisogno per� di essere verificata nei passaggi previsti dal servizio che vanno dall�analisi della domanda alla sua riformulazione fino alla proposta del progetto terapeutico.

La sua scansione temporale ideale pu� essere rappresentata dal detto latino festina lente.

 

Cosa osserviamo quando incontriamo un paziente per la prima volta?

Nel primo contatto con il paziente il nostro livello di attenzione e selezione delle informazioni � generalmente molto elevato.

Ci� che ci colpisce prima di tutto � l�immagine visiva e sonora nel suo complesso, quanto spazio prende, con quali volumi, espansioni, ritiri, ritmi. Quasi una geometria di figure solide in movimento.

A volte abbiamo di fronte un gruppo dove l�elemento "disturbato" non � sempre facile individuare.

Notiamo il passo veloce o strascicato, i colori, la voce, altri rumori (tintinnii di chiavi o di gingilli vari, lo scricchiol�o delle suole, il battere dei tacchi).

A volte persone dall�aspetto dimesso si impongono per il loro odore pungente.

Naturalmente notiamo l�abbigliamento, l�attenzione che il paziente pone o meno ad una "buona" presentazione di s�.

Tutti questi elementi si compongono con le prime osservazioni sul modo di relazionarsi, su quanto spazio lascia il sintomo alle consuete fasi sociali di un incontro, seppure in un contesto di visita sanitaria.

I primi elementi grossolani vengono poi selezionati, verificati o messi ai margini del campo osservativo, comunque sempre continuamente monitorizzati. Anche in una intervista con caratteristiche rigide si possono apprezzare tutte queste parti che nell�arco del colloquio andranno a "perfezionarsi" e a comporre un oggetto con caratteristiche sempre pi� unitarie.

Per esempio il modo iniziale di parlare del paziente fornisce un�idea sulle condizioni emotive e sulla provenienza culturale. Poi a poco a poco emergono altri elementi: ripetizioni di uno stesso concetto, difficolt� a seguire un filo logico, sospensioni, silenzi, accelerazioni. Lo stile pu� essere sommesso o espansivo, pu� esserci la ricerca del termine pi� appropriato.

Noi siamo abituati a tradurre immediatamente queste componenti non verbali nel nostro linguaggio pi� elementare: depressione, isteria, ossessivit�, tratti psicotici o maniacali.

Su tali trame (presentazione di s�, stile del linguaggio, sequenze logiche e/o temporali del discorso, modo di relazionarsi) si ordiscono i contenuti verbali, quelli che raccontano la storia e i sintomi del paziente.

Anche i contenuti verbali vengono selezionati e vanno a contribuire alla formazione di un quadro che possiamo chiamare diagnostico in senso molto lato.

Tali passaggi ed osservazioni, in forme molto pi� confuse, vengono per� effettuati anche da parte dei pazienti che, a loro volta, producono una sorta di "diagnosi" del contesto in cui si trovano e in cui generalmente sono arrivati con molta ambivalenza se non proprio di diffidenza.

 

Strumenti

Qui va aperta una breve riflessione sugli strumenti impiegati nelle prime fasi dell�accoglienza.

Tutti ne usiamo qualcuno. Si tratta in genere di schede di raccolta di dati.

Le considerazioni svolte in precedenza indicano che non � possibile costruire schede "complete": l�aspetto relazionale dell�incontro, per essere trasmesso in qualche modo � e sempre parzialmente � ha bisogno a sua volta di un altro contesto relazionale all�interno del servizio (riunioni d��quipe, di servizio, supervisioni, ecc.). Lo strumento d�elezione, seppure imperfetto, siamo noi stessi in un campo relazionale.

E siamo noi stessi, vale la pena di ricordarlo ancora, che svolgiamo, nell�accoglienza soprattutto, un lavoro di frontiera e spesso decisamente di trincea: un lavoro dove l�esposizione all�angoscia libera dell�altro � molto elevata e dove di conseguenza si attivano i nostri meccanismi di difesa. Sono dunque in gioco anche per noi l�identificazione, la proiezione, la negazione, l�espulsione, il controllo, ecc.

La scheda, qualsiasi scheda, svolge contemporaneamente diverse funzioni:

  • raccolta dati, che va dagli aspetti anagrafici a quelli pi� decisamente anamnestici, dalla modalit� di invio a quella della domanda pi� o meno congrua
  • discriminazione e selezione : anche una breve raccolta di informazioni pu� farci capire se esistono dei requisiti d�urgenza o se il caso non � di pertinenza del servizio
  • contenimento delle reciproche angosce (la scheda rappresenta l�apparato istituzionale: l�operatore o gli operatori non sono soli: ci� � una garanzia sia per gli operatori che per i pazienti)
  • scansione temporale, necessaria non solo nell�incontro attuale ma prefigurata dall�intervista stessa anche per le fasi successive degli interventi.

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
Ma qual � la pietra che sostiene il ponte? Chiede Kublai Kan.
Il ponte non � sostenuto da questa o quella pietra, risponde Marco,
ma dalla linea dell�arco che esse formano.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge:
Perch� mi parli delle pietre? E� solo dell�arco che m�importa.
Polo risponde: Senza pietre non c�� arco.

(Italo Calvino: "Le citt� invisibili")

Questo brano di Calvino � stato scelto per rappresentare il legame aleatorio e allo stesso tempo tenace che si costruisce nella complessit� dell�incontro.

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