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GIUSEPPE MARTINI
Sin dalle prime pagine Martini pone il tema e, al tempo stesso il metodo. La
storia di Berenice � messa a prologo e, subito, la �storia di una
paziente�, attraverso lo spostamento rapido dei vertici narrativi diviene un
insieme di storie, tante quanto sono i narratori. Colpisce, nei racconti dei
vari personaggi che ruotano intorno al tema
Berenice, il progetto di presentare, prima del �fatto�, da parte di
ciascuno, la vitalit� della propria organizzazione narcisistica:
l�isterectomia della madre diviene per Berenice la giustificazione
(l�interpretazione) della fragilit� del proprio S�, mentre per la madre, la
rappresentazione della propria vitalit�: �i medici mi dicevano: o perde il bambino o soffre. Io soffrii�.
Il libro si occupa fondamentalmente
di questo: la contingenza della �verit�� e le sue potenzialit�
trasformative. Nonostante il tema immediatamente rinvii ad argomenti
essenzialmente filosofici e a riflessioni particolarmente epistemologiche che
spesso possono mantenersi a livelli molto
�teorici�, il saggio ha il merito di perseguire pazientemente la proposta e
la verifica clinica delle tesi che individua. Tale progetto � ulteriormente
importante in quanto, alla fine, si orienta esplicitamente al campo psichiatrico
(gli esempi clinici e la seconda parte del libro sono, come riconosce lo stesso
autore, �sbilanciati� verso la psichiatria).
Per quanto mi riguarda questo � un grande merito dello sforzo di Martini
in quanto tenta di rifondare �l�incontro
psicoanalisi-psichiatria � basatosi troppo a lungo su luoghi comuni che hanno
rivelato nella quotidiana pratica clinica, la loro vocazione fallimentare�.
Sono perfettamente d�accordo sulla necessit� di rifondare la psichiatria sul modello della teoria psicoanalitica, partendo dal riconoscimento in
positivo della irriducibilit� del campo psichiatrico al contesto, al setting e
alla tecnica psicoanalitica.
Fondamentalmente bisogna cominciare a fondare la psichiatria individuandone le
specificit� e le differenze rispetto alla psicoanalisi (o rispetto ad altri
modelli teorici), mentre, per tanto tempo la psichiatria � stata campo di
importazione di modelli e persino di tecniche rivelatesi poi inefficaci fuori da
un proprio specifico contesto (possono illuminare le affermazioni in questo
senso che Todorov avanza rispetto alla narrazione). La
Narrazione pone il tema della differenza e della continuit� con la storia
e col racconto (Genette), quanto
l�Ermeneutica pone il tema della �verit�� nel
testo: si disegna una specularit� tipica e fondante la relazione terapeutica.
Paula Heimann, rispetto alla Narrazione del
paziente si chiedeva �adesso chi parla� e l�analista[1]
deve continuamente collocarsi nel luogo della verit� psicologica del suo
paziente. Questo impone l�intersezione
delle tre principali caratteristiche dell�ermeneutica: veritativa (il rispetto del testo); costruttiva (aprirlo verso una nuova significativit�) etica
(ricostruire un testo che, secondo Ricoeur, sia abitabile per il paziente). Ci�
pone le basi in psichiatria per
una adeguata riflessione sulla opportunit� (autenticit�) dell�intervenire o
dell�attendere: �astenersi� significa, quindi, rispetto e fiducia nelle
potenzialit� creative (autopoietiche)
della relazione col paziente, quanto �intervenire� significa collocare la
relazione terapeutica in un campo di autenticit� e di responsabilit�[2]
verso il paziente (il tema viene ripreso pi� oltre a p. 285). E� il problema
del valore da attribuire agli eventi reali della vita del paziente. Martini, mi
sembra ponga il problema in modo chiaro e non a caso lo affronta nel capitolo
dedicato alla Psichiatria: �Ignorare la
portata dei fatti nella vita del paziente pu� portare, per una sorta di
coerenza in tal caso perversa, ad astenersi dal fare�. La psichiatria deve confrontarsi con il tema psicoanalitico
della comune radice del fare e
del pensare che, non a caso,
convergono entrambe nella costituzione della interpretazione. Alla
narrazione viene riconosciuto lo statuto di �un
bisogno� e tale necessit� vitale pu� essere ulteriormente caratterizzata
dal racconto come �necessit� di
frapporre uno spazio fra l�irruenza delle emozioni e il S��.
L�atto del raccontare (la narrazione p.d.) si configura come uno spazio di
sedimentazione dove assistere alla rappresentabilit�/pensabilit� dell�evento
in cui si compia la funzione alfa di cui parla Bion. E� uno spazio di
ricomposizione del S� in seguito al trauma
della esperienza nuova. Nel
racconto/narrazione � contenuto in modo criptico, come nella organizzazione
dell�inconscio (il riferimento va immediatamente a Lacan e a Matte Blanco) ci�
che attraverso l�acquisizione del �senso del S� verbale� (Stern) � stato
perso: la �fantasia�, riconosciuta da Freud all�origine della
organizzazione psichica, deve essere comunque
comunicata. Il racconto � come l�inconscio � la custodisce nelle
innumerevoli forme possibili senza mai poterla negare (� esplicativo
l�esempio del notes magico proposto da Freud�). Le potenzialit� sospese e
marginate del S� si annidano nello �stile�, nel �ritmo�, nei
�fraintendimenti� del racconto, proprio quando il senso della narrazione
tenta di escluderli inevitabilmente. In questo senso i resoconti clinici
proposti dal libro, primo fra tutti la storia della famiglia Emme, ne sono un
chiaro esempio. La
narrazione � un passaggio da un testo
ad un altro testo, ed in questo passaggio obbligato si insinua come un
lapsus il S� del traduttore che pone
la sua cifra nella scelta del vocabolo e nella organizzazione del nuovo testo.
In psicoanalisi e in psichiatria vi sono numerosi esempi di come la
�traduzione� di un termine tecnico (soprattutto quando si trattava di un
termine nuovo) abbia coartato l�iniziale progetto comunicativo
dell�autore: si pensi al famoso problema della traduzione di
Unheimliche o al concetto di �schizofrenia� non pi� distinguibile dalla
Zerspaltung bleuleriana e persino alla confusione in cui tuttoggi la letteratura
psicoanalitica e psichiatrica mantengono termini quali
scissione-dissociazione-frammentazione, fino ad arrivare ad un problema
�recente� che riguarda il giusto senso da attribuire al termine �gravit��
che, ad esempio assume configurazioni differenti nella letteratura anglosassone.
Nella relazione terapeutica il vertice ermeneutico propone il �nuovo testo�
come atto creativo (mutativo) che � precisa Martini � � inscindibile dal
campo della relazione: �intreccio
tra il momento ricostruttivo (il ripercorrere la propria storia) e quello
costruttivo (al fine dell�emergenza di significati)� La
�narrazione� � pesantemente compromessa con il paziente �grave�.
Martini pu� proporci una ennesima definizione, dal suo vertice, di �paziente
grave�: �reticenza marcata al dialogo�.
Per quanto si possa considerare che si tratti di una ulteriore definizione che
poggia su caratteristiche negative attraverso cui descrivere la �gravit��
(considero gi� pi� �attiva� la definizione proposta da Petrella che
Martini stesso riporta a p.87: �il soggetto tende a ripristinare la stasi, mira all�annullamento
dell�esperienza nascente�), nel corso del capitolo specificatamente
dedicato a tali quadri clinici il
discorso si amplia e il �dialogo� non viene pi� solo considerato
�un�istanza collaborativa che difetta nel paziente�, ma assume via via
il senso di depositario delle caratteristiche specifiche che individuano il
paziente ed il livello a cui � possibile incontrarlo: �il
dialogo con i pazienti gravi risulta una sequela continua di interruzioni��.
Lo sforzo di ricucitura � lo spazio della cura:
�un continuo tentativo di ristoricizzazione e rinarrazione� che si
compie contattando il paziente direttamente o, soprattutto, attraverso le tracce
sparse (scissioni, persecutoriet�, agiti, ma anche insospettate capacit�
relazionali, creative, affettive�) che il paziente deposita nel suo contesto. Martini
riconosce che �� possibile constatare che per nessun paziente � completamente
preclusa una possibilit� di dialogo�. E� un dialogo che si pone fra il
livello psicoanalitico e quello concreto, �: �un
dialogo elementare, �in quanto viene prima� e che si radica nella
dimensione antropologica dell�essere con
e si realizza attraverso una pre-istoria
comunicativa poggiata su livelli di sensorialit� non ancora organizzata in
pensiero (il campo teorico tiene conto della posizione bioniana sulla
organizzazione del pensiero e, per gli stadi precoci dello sviluppo, si apre
verso le tesi di Winnicott e Gaddini, e verso le tesi di Correale per i pazienti
psicotici). Un
ultimo spunto di riflessione: il fallimento del rapporto terapeutico �non
significa necessariamente fallimento esistenziale del paziente: la possibile
gamma delle sue relazioni non pu� essere narcisisticamente ridotta a quella,
seppur importante, con il suo terapeuta� (p. 293). In questo senso,
psicoanalisi e psichiatria possono fondarsi distinguendosi dalla onnipotenza che
spesso (soprattutto per la psichiatria asilare ed ideologica) le hanno
caratterizzate: il �limite� del proprio registro ermeneutico e le
insondabili capacit� creative del paziente pongono i confini. Ritornano i
suggerimenti di Hoffman ad assumere una posizione di continua incertezza
rispetto alla correttezza delle proprie ipotesi; di Gadamer e Bion per i quali
ci� che viene colto non � opera dell�autore, ma vi preesiste ed infine le
tesi di Pareyson per il quale (sembra quasi ovvio nella sua incredibile
semplicit�!) �la verit� � inesauribile�. Giuseppe Riefolo [1] Parlo di �analista comunque�, anche in un contesto psichiatrico riferendomi esplicitamente alla massima di Winnicott (1962, "I fini del trattamento psicoanalitico): �Se il nostro fine continua ad essere sempre quello di verbalizzare il conscio nascente in termini di transfert, allora applichiamo la psicoanalisi; in caso contrario siamo degli analisti che fanno qualcosa di diverso e che comunque riteniamo adatto a quella situazione. E perch� non farlo?� [2] Cfr. il concetto di controtransfert come �responsabilit�� verso il paziente proposto recentemente da Anna Ferruta sulla Rivista di Psicoanalisi (1998, XLIV, 2). |