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La madre, Palmira Strafile, a sedici anni si innamorò di Guglielmo Gaddini, molto più grande di lei, per sposare il quale organizzò una "fuga", usanza piuttosto frequente all’epoca tra le ragazze del Sud, al fine di imporre al padre la scelta del futuro marito. Il matrimonio, celebrato poi con il consenso di tutti, non impedì al nonno materno di Gaddini, molto autoritario, di imporre più volte le sue decisioni alla figlia ed al genero. Palmira, che non amava i conflitti, accettò sempre le scelte paterne, anche a prezzo dell’allontanamento dal marito e da alcuni dei suoi figli. Il nucleo familiare restò in realtà unito soltanto durante i primi quattro anni della vita di Eugenio. Eugenio, sesto di nove figli, ultimo maschio, fu particolarmente legato alla sorella Rosaria, più grande di lui di soli tredici mesi, e ad Ester, la minore. Rosaria era la compagna dei giochi, delle scoperte e delle prime emozioni nella pre-adolescenza; morì di pericardite reumatica all’età di 14 anni. Ester, l'ultima dei nove, fu molto vicina al fratello, che amava per la sua generosità, la sua pazienza, e la sua capacità di essere protettivo, caratteristiche che lo differenziavano dagli altri membri della famiglia. Il legame di Ester con Eugenio divenne più stretto durante la malattia di Rosaria, soprannominata "Loretta". A causa della malattia di Rosaria, Eugenio ed Ester furono allontanati dalla famiglia ed accolti da alcuni amici di Foggia, presso i quali vennero a sapere la notizia della morte della sorella. Gaddini rievoca la drammaticità della vicenda nel racconto "Ragazzi", scritto all’età di vent'anni (1936). La disunione della famiglia fu tuttavia dovuta, oltre che alla malattia della sorella, che richiedeva cure specialistiche a Napoli, al grave conflitto che opponeva il nonno materno di Eugenio al proprio padre. Guglielmo Gaddini, nato a Rimini in una famiglia di intellettuali antifascisti, amava leggere, riflettere, parlare ed inventare. Egli decise di avviare, con notevole dispendio economico, una cartiera nei pressi di Cerignola, Il fallimento di questa impresa, determinato dalla riduzione di risorse energetiche nel corso dell'ultimo conflitto mondiale, gli procurò dapprima la critica del suocero ed in seguito la rottura definitiva del loro rapporto. Gaddini visse dunque tra un nonno materno autoritario, severo, di origini modeste, molto legato alla terra, ma in grande auge per la sua attività imprenditoriale nel corso della guerra 1915-18, ed un padre intellettuale e creativo, ma sconfitto sul piano lavorativo ed allontanato dal suocero e dalla propria famiglia. Se i personaggi maschili del mondo familiare infantile di Gaddini erano evidentemente molto presenti - in particolare i suoi tre fratelli maggiori - anche le figure femminili lo erano, ma in modo differente. Veniva in primo piano la nonna materna, con la quale Gaddini aveva intessuto, sin dalla prima infanzia, un legame d’amore profondo. La madre di Gaddini era fisicamente presente ma psicologicamente distante, forse poco disponibile nella sua funzione materna. Alla chiusura della cartiera, il nonno decide di trasferire la famiglia Gaddini a Napoli, presso di lui, mentre il padre restò a Cerignola. Eugenio e la sorella Ester furono gli ultimi a raggiungerli, dopo aver passato qualche tempo presso amici di famiglia. Gaddini rimane a Napoli fino all’età di 17 anni, quando il nonno decide il suo trasferimento a Roma, impedendo al padre di vivere con la moglie e con i figli, almeno in sua presenza. A Napoli Gaddini inizia il suo percorso di autodidatta; legge molto, soprattutto autori classici greci e latini, ma anche autori anglosassoni, iniziando così l’apprendimento della lingua inglese. Giunge a Roma nel 1933 e qui termina gli studi classici. Traduce un’opera di Catullo, Carmina. La sua passione per la cultura classica, greca in particolare, lo porta a stringere amicizia con un professore di letteratura greca divenuto cieco, al quale legge ad alta voce tragedie greche. Nella lingua greca era affascinato dalla forma grammaticale del "duale". Alcuni anni più tardi, divenuto psicoanalista, Gaddini proverà ad introdurre simmetrie fra questo elemento sintattico e la dualità esistente nella relazione madre/bambino al suo inizio. Fonda con altri due intellettuali d’avanguardia, il pittore Stradone e lo scrittore Venturoli, una rivista letteraria: Accademia, nella quale pubblica poesie e racconti. Nel 1936 Gaddini si iscrive alla facoltà di Medicina di Roma. Appassionato di scienze naturali, frequenta durante i primi anni diversi laboratori di biologia, dove sviluppa l'interesse per la ricerca scientifica. Si laurea il 15 luglio 1942, discutendo una tesi su un trattamento specifico delle leucemie. Nello stesso giorno si laurea in medicina la sua futura compagna e moglie Renata De Benedetti. La coppia condivide, fino alla sua morte, interessi comuni e, con lo stesso fervore, entrambi studiano e lavorano in uno scambio reciproco e rispettoso del pensiero dell’altro. A questo proposito Renata Gaddini ricorda: "Per quanto riguarda il nostro modo di lavorare insieme, Gaddini diceva che io usavo lui per «pensare sulle cose» e lui usava me per «le cose su cui pensare». Osservava che la mia era un’attitudine molto clinica, ciò permetteva al suo pensiero di appoggiarsi su un materiale che non era grezzo, e per questo fecondo". Il 16 luglio 1942, giorno successivo alla laurea in Medicina, Gaddini si trova immerso direttamente nei tormenti e nelle atrocità imposte dalla guerra. Come Allievo Ufficiale di Marina viene destinato all’Ospedale Militare di Mirano Veneto, nei pressi di Venezia, dove entro breve tempo si trova ad essere responsabile del reparto di Chirurgia. Viene immediatamente notato per le sue capacità cliniche e per la sollecitudine nei rapporti con i pazienti. L’8 settembre 1943, data dell’Armistizio in Italia, Gaddini lascia la Marina italiana per raggiungere, non senza peripezie, la città di Roma, ove si ricongiunge con Renata. Insieme partecipano attivamente agli avvenimenti di questo periodo, condividendo gli ideali della resistenza antifascista. Si sposano nel maggio 1945; dal loro matrimonio nasceranno due figli, Silvia ed Andrea. Nel 1945 Gaddini diviene Primario dell’Ospedale della Croce Rossa di Forte Aurelio a Roma, e mantiene tale incarico fino al 1956. A partire da quella data la sua vita professionale prende una svolta decisiva: Gaddini comincia a dedicarsi esclusivamente alla Psicoanalisi. Dal 1946, poco dopo aver assunto l’incarico di Primario, Gaddini comincia ad interessarsi con passione agli aspetti "nevrotici" di alcuni dei suoi pazienti ed alle malattie che egli pensava fossero "d’origine psicosomatica" (Gaddini usava il termine "psicofisico" mutuato da Greenacre). Emilio Servadio (1989), suo analista, nel suo "Ricordo", pubblicato nelle prime pagine degli Scritti, sottolinea le numerose opere di Freud ed altri saggi psicoanalitici che Gaddini aveva già studiato prima di iniziare la sua analisi personale, la quale ebbe inizio nel 1946. A quest'epoca il paesaggio psicoanalitico italiano risultava assai povero, essendo rappresentato solo da pochi analisti i quali, intorno alla figura di Weiss, avevano seguito il percorso di formazione riconosciuto dall’IPA. Ma la sensibilità di Gaddini verso il paziente sofferente era antica; la psicoanalisi sembra organizzare in modo più compiuto la fondamentale curiosità che, nella cura dei pazienti, lo spingeva continuamente ad interrogarsi sui legami esistenti tra corpo e psiche. Nel 1953 Gaddini diviene Socio della Società Psicoanalitica Italiana, discutendo un proprio lavoro di commento al caso di Dora di Freud. Nominato segretario della SPI nel 1957, contribuisce a riorganizzare la Società Psicoanalitica Italiana, e portarla a livelli internazionali. Dirige per parecchi anni La rivista Italiana di Psicoanalisi. Dal 1967 al 1969 è Vice Presidente della SPI; nel 1970 viene nominato didatta;è Presidente della SPI dal 1978 al 1982. Collabora alle attività scientifiche dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale e della Federazione Europea di Psicoanalisi. Si impegna con passione ed entusiasmo alla trasmissione della psicoanalisi, manifestando la sua profonda preoccupazione riguardo alla qualità della formazione psicoanalitica. Nel ricordo della sua prima allieva, Stefania Turillazzi Manfredi (1986), Gaddini viene descritto come un maestro antico e paziente nel ripetere, nel rispiegare continuamente, ma nel contempo rigoroso rispetto a fondamentali concetti che, riteneva, gli allievi dovevano conoscere bene. Tiene molto alla conoscenza della lingua inglese, perché gli psicoanalisti e la Psicoanalisi italiana possano sempre più aprirsi all'esterno. La sua attività didattica non si limita al Centro psicoanalitico di Roma, poiché diede vita al Centro psicoanalitico di Firenze, curandone la formazione dei didatti per oltre sei anni. Nel 1963 inizia a svolgere funzioni organizzative e valutative come membro del Comitato del Programma di quasi tutti i Congressi internazionali dell’IPA. Dal 1973 al 1977 è Segretario della Commissione per la Psicoanalisi in Grecia e in Jugoslavia. Nel 1979-1981 è Chairman del Comitato delle Nomine dell’IPA e, in seguito, Chairman e co-Chairman delle due Conferenze sull’analisi di training che hanno avuto luogo rispettivamente a Madrid, nel 1983, e ad Amburgo nel 1985. Qui è rieletto tra i responsabili del programma Scientifico del Congresso Internazionale di Montreal, che ebbe luogo due anni dopo la sua morte. Rientrato a Roma dopo il Congresso di Amburgo, viene ricoverato per accertamenti in seguito a un trauma riportato a una gamba. Colpito da un’embolia polmonare, muore prematuramente il 27 settembre 1985. Gaddini e la storia del movimento psicoanalitico italiano Nel 1971 Gaddini scrive: "Il movimento psicoanalitico in Italia", un articolo che fornisce una chiarificazione del paesaggio socioculturale italiano tra l’inizio del secolo e gli anni 1970. In questa nota spiega con pertinenza le cause che hanno - a suo modo di vedere - complicato e ritardato l’introduzione e lo sviluppo della psicoanalisi in Italia. A tal fine Gaddini si rifà al lavoro di David (1966), uno studioso francese della cultura italiana, nel tentativo di comprendere le resistenze che, per lunghi anni, hanno tenuto fuori l’Italia dal movimento psicoanalitico internazionale. Seguendo la lettura di David, Gaddini evoca sei gruppi di differenti fattori che possono aver favorito questo isolamento. Alcuni di essi sono stati recentemente riconsiderati da Nestore Pirillo (1997) in una ricognizione storica sulla psicoanalisi italiana. Li riportiamo sinteticamente:
La malattia mentale era, di conseguenza, appannaggio dei popoli nordici, vale a dire dei "non latini". Queste idee, fortemente intrise di toni megalomanici, contribuivano a peggiorare, secondo Gaddini, questa grave condizione di patologia psicosociale, che usava in modo massiccio meccanismi di difesa quali la negazione e la proiezione. I contatti con il mondo psicoanalitico Figura familiare nei convegni internazionali, Gaddini "era dotato di tutte le qualità dell’Intellettuale italiano del Sud: sete di conoscenza, capacità di pensieri impegnativi e profondi, un punto di vista filosofico unito a senso dell’humour". (A. Limentani, 1986). Fu particolarmente attratto dal mondo anglosassone e, come osserva Wallerstein (1992), fu uno dei pochi psicoanalisti italiani che, con entusiasmo, propose parte dei propri lavori, oltre che ai colleghi del proprio Paese, a riviste specializzate di lingua inglese. Anne Hayman (1993), nella recensione alla edizione inglese degli Scritti, ha osservato che probabilmente proprio l’aver frequentato questi due mondi psicoanalitici possa in qualche modo aver contribuito a fornire una base feconda per il pensiero complesso, originale e profondo di Eugenio Gaddini. La Hayman ritiene inoltre che, probabilmente, il distacco geografico dalle principali scuole psicoanalitiche possa averlo aiutato a conseguire quella indipendenza che gli ha permesso, poi, di pervenire alla esplorazione psicoanalitica sullo sviluppo mentale precoce, distinto da quello di qualsiasi altra scuola, pur tuttavia apprendendo, facendo riferimento e usando idee delle principali correnti di pensiero psicoanalitico internazionale. Infatti è sempre stato intenso il confronto con colleghi italiani e di altri paesi, stabilendo con taluni di loro rapporti amichevoli e cordiali. I Gaddini ebbero modo di avere contatti e di incontrare Edoardo Weiss, Anna Freud e Melanie Klein, con la quale Eugenio poté confrontare i suoi punti di vista, le affinità e le divergenze. Una persona che contò molto per Gaddini è stata Phyllis Greenacre, che Renata aveva conosciuto nel 1948 a New York e con cui aveva stabilito una relazione di amicizia e di lavoro fondata su una grande stima reciproca. Gaddini apprezzava particolarmente le capacità originali di riflessione e di concettualizzazione di Greenacre. Nel 1969, invitato a presentare il suo lavoro "Sulla imitazione" a Londra, a Washington e a New York, Gaddini ebbe modo di conoscere la Jacobson, Blos, Arlow, Eissler, Brenner, Beres ed altri, a casa di Phylis Greenacre. Gaddini incontrò più volte Winnicott, il cui pensiero lo aveva sempre interessato e che a più livelli usa ed amplia all'interno delle proprie tesi originali sulle prime fasi dello sviluppo mentale. Con Winnicott, soprattutto attraverso e insieme a Renata, mantiene negli anni una intensa relazione epistolare. Gaddini fu ugualmente vicino a Bion, la figlia del quale, Partenope, anch'essa psicoanalista, morta in un tragico incidente nel 1998, manteneva frequenti contatti con la famiglia Gaddini. |