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SULL�ACCOGLIENZA Intervento presentato ad un Corso per II PP organizzato dal DSM ASL Roma G, Giugno 2003
Perch� l�accoglienza ha tanta parte nel lavoro svolto nell�istituzione psichiatrica? Perch� parlarne ancora? Il nostro lavoro si colloca � in ogni caso e in ogni ambito � nella capacit� di accogliere, eppure vi � bisogno di un�ulteriore "specialistica". A mio parere l�accoglienza corrisponde a un�area ove si addensano nuclei problematici di ordine traumatico e conflittuale.
Su un presupposto di base importante da tener presente: la reciproca ignoranza. Ovvero il non-sapere del paziente su di s�, su chi sono questi altri � anonimi � cui chiede aiuto; il non-sapere dell�istituzione sul paziente, sulla sua storia e sul motivo per cui � l�; il non-sapere di entrambi rispetto alla cosa che agisce e agita il soggetto che soffre, e che � qualcosa di diverso dal sintomo denunciato e dalla diagnosi che se ne pu� trarre. Sappiamo che � necessario avvicinarsi con cautela a questa cosa dannata ma anche preziosa in quanto costituisce una parte di s�, e che rimarr� sempre con un fondo di ignoto: pi� che in altre discipline siamo consapevoli di non "guarire" l�altro, semmai di curarlo pi� o meno bene e di aiutarlo a prendersi cura di s�. Tali parti estremamente sofferenti vanno trattate con cautela e delicatezza, rispettandone le difese, evitando di sovrapporre pesantemente le nostre griglie "interpretative" in cui il paziente si sentirebbe imprigionato (con tutte le conseguenze di ordine persecutorio) o esplicitando inutili indicazioni passe-partout (che il paziente ha gi� ricevuto a bizzeffe). E� necessario a questo punto ricordare che certi tipi di risposta inadeguata o inopportuna data al paziente sono soprattutto frutto delle difese degli operatori, per il fatto stesso che ci troviamo entro un�area traumatica. Comunque, l�ambito rispetto al quale possiamo immediatamente operare � quello della relazione, da cui ogni paziente, per qualsiasi branca medica, si attende molto. E il "nostro" paziente ha gi� un�aspettativa forte in tal senso, per informazioni pi� o meno dirette che ha sulle funzioni di un ambulatorio psichiatrico. Vedremo meglio in seguito quali possono essere i principali e specifici punti problematici dei primi approcci con un paziente; vale la pena qui sottolineare l�aspetto pi� generale: indipendentemente dal modello di accoglienza utilizzato nei singoli Servizi, c�� sempre il rischio della perdita, in entrambi i poli in questione (pazienti � operatori ). Dato un incontro, pu� sempre accadere un evento, programmato o imprevisto, tale per cui l�incontro non ha s�guito. Ci� accade continuamente nella vita (separazioni, lutti, allontanamenti) ma nel nostro lavoro quotidiano con questo aspetto dobbiamo fare massicciamente i conti, sia nella gestione della relazione terapeutica sia nei processi identificativi col paziente. A volte, quasi sopraffatti dalla mole dell�impegno, abbiamo una reazione di sollievo alla notizia che un paziente non viene pi� (perch� non si trova bene con noi, o perch� ha cambiato luogo di residenza o per altri motivi). Questa reazione di totale sollievo � apparente: la nostra parte narcisistica ne soffre e contemporaneamente si difende dalla sofferenza. D�altra parte sappiamo bene di incontrare una quota di sofferenza anche quando c�� una buona conclusione del rapporto terapeutico � in quanto perdiamo qualcuno che abbiamo accompagnato e che ci ha accompagnato e non ne sapremo forse pi� nulla. Chi si trova, in virt� di modelli organizzativi e/o anche per scelta, ad occuparsi pi� di altri nel Servizio dei primi contatti con i pazienti, � pi� esposto a quest�area traumatica. Su tale considerazione si pu� pensare che gli strumenti utilizzati (schede, registrazioni, ecc.) abbiano fondamentalmente una funzione difensiva e secondariamente una funzione di raccolta di dati e di passaggio di informazioni (il termine stesso di "informazione" appare depurato da elementi relazionali-affettivi, tanto � vero che spesso c�� bisogno di riproporre il "caso" in contesti dove tali elementi possano essere trasmessi o � al meglio � elaborati: riunioni d��quipe, di servizio, contatti con il curante destinatario, ecc).
Il lavoro dunque dell�accoglienza � un lavoro perennemente in bilico . Ha necessit� di essere sostenuto e monitorato attraverso il lavoro di gruppo e non slegato dal resto del servizio. Il caso nuovo richiede una lettura immediata che ha bisogno per� di essere verificata nei passaggi previsti dal servizio che vanno dall�analisi della domanda alla sua riformulazione fino alla proposta del progetto terapeutico. La sua scansione temporale ideale pu� essere rappresentata dal detto latino festina lente.
Cosa osserviamo quando incontriamo un paziente per la prima volta? Nel primo contatto con il paziente il nostro livello di attenzione e selezione delle informazioni � generalmente molto elevato. Ci� che ci colpisce prima di tutto � l�immagine visiva e sonora nel suo complesso, quanto spazio prende, con quali volumi, espansioni, ritiri, ritmi. Quasi una geometria di figure solide in movimento. A volte abbiamo di fronte un gruppo dove l�elemento "disturbato" non � sempre facile individuare. Notiamo il passo veloce o strascicato, i colori, la voce, altri rumori (tintinnii di chiavi o di gingilli vari, lo scricchiol�o delle suole, il battere dei tacchi). A volte persone dall�aspetto dimesso si impongono per il loro odore pungente. Naturalmente notiamo l�abbigliamento, l�attenzione che il paziente pone o meno ad una "buona" presentazione di s�. Tutti questi elementi si compongono con le prime osservazioni sul modo di relazionarsi, su quanto spazio lascia il sintomo alle consuete fasi sociali di un incontro, seppure in un contesto di visita sanitaria. I primi elementi grossolani vengono poi selezionati, verificati o messi ai margini del campo osservativo, comunque sempre continuamente monitorizzati. Anche in una intervista con caratteristiche rigide si possono apprezzare tutte queste parti che nell�arco del colloquio andranno a "perfezionarsi" e a comporre un oggetto con caratteristiche sempre pi� unitarie. Per esempio il modo iniziale di parlare del paziente fornisce un�idea sulle condizioni emotive e sulla provenienza culturale. Poi a poco a poco emergono altri elementi: ripetizioni di uno stesso concetto, difficolt� a seguire un filo logico, sospensioni, silenzi, accelerazioni. Lo stile pu� essere sommesso o espansivo, pu� esserci la ricerca del termine pi� appropriato. Noi siamo abituati a tradurre immediatamente queste componenti non verbali nel nostro linguaggio pi� elementare: depressione, isteria, ossessivit�, tratti psicotici o maniacali. Su tali trame (presentazione di s�, stile del linguaggio, sequenze logiche e/o temporali del discorso, modo di relazionarsi) si ordiscono i contenuti verbali, quelli che raccontano la storia e i sintomi del paziente. Anche i contenuti verbali vengono selezionati e vanno a contribuire alla formazione di un quadro che possiamo chiamare diagnostico in senso molto lato. Tali passaggi ed osservazioni, in forme molto pi� confuse, vengono per� effettuati anche da parte dei pazienti che, a loro volta, producono una sorta di "diagnosi" del contesto in cui si trovano e in cui generalmente sono arrivati con molta ambivalenza se non proprio di diffidenza.
Strumenti Qui va aperta una breve riflessione sugli strumenti impiegati nelle prime fasi dell�accoglienza. Tutti ne usiamo qualcuno. Si tratta in genere di schede di raccolta di dati. Le considerazioni svolte in precedenza indicano che non � possibile costruire schede "complete": l�aspetto relazionale dell�incontro, per essere trasmesso in qualche modo � e sempre parzialmente � ha bisogno a sua volta di un altro contesto relazionale all�interno del servizio (riunioni d��quipe, di servizio, supervisioni, ecc.). Lo strumento d�elezione, seppure imperfetto, siamo noi stessi in un campo relazionale. E siamo noi stessi, vale la pena di ricordarlo ancora, che svolgiamo, nell�accoglienza soprattutto, un lavoro di frontiera e spesso decisamente di trincea: un lavoro dove l�esposizione all�angoscia libera dell�altro � molto elevata e dove di conseguenza si attivano i nostri meccanismi di difesa. Sono dunque in gioco anche per noi l�identificazione, la proiezione, la negazione, l�espulsione, il controllo, ecc. La scheda, qualsiasi scheda, svolge contemporaneamente diverse funzioni:
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. (Italo Calvino: "Le citt� invisibili") Questo brano di Calvino � stato scelto per rappresentare il legame aleatorio e allo stesso tempo tenace che si costruisce nella complessit� dell�incontro. |