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La Medicina e l'illuminismo di Pietro Leopoldo di Lorena
Nel maggio 1788 il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo inaugura l'"Ospedale
della carit� per Dementi" di Bonifazio. Nei successivi cinque anni, �
Vincenzo Chiarugi a dare spessore di scienza medica al progetto formulato
dal granduca nella solenne inaugurazione del Bonifazio. Nel '89, a cura della
Stamperia granducale � pubblicato il Regolamento (1) e nel 1793 esce il Trattato.
In questo arco di date, si precisa un netto cambiamento, di tipo
illuministico, nell'assistenza medica e si configura una specifica assistenza ai
folli, per iniziativa e attivit� di Chiarugi. Questa nuova, emancipata
assistenza, si avvia con il Motu Proprio del 15 novembre 1750 emanato da
Francesco di Lorena per elevare a Ospedale l'antico oratorio di S. Dorotea; e il
progetto � consolidato con il trasferimento dei primi 126 malati al Bonifazio
il 19 maggio 1788 (2).
Quanto si dispone, per il Bonifazio e i "Regi Spedali di S. Maria
Nuova", � in linea con la generale politica di "risanamento"
amministrativo, voluta da Leopoldo I dopo venticinque anni di potere e
perseguita fino al passaggio nel 1790 al trono d'Austria. Leopoldo promuove una
gestione inedita del Granducato: le innovazioni (tra le quali � anche il metodo
introdotto da Chiarugi) tendono a anticipare gli eventi rivoluzionari della
Francia, si muovono all'insegna di una riforma dell'amministrazione e
dell'economia, e tuttavia non giungono ad avere un reale seguito capace di
mantenerle attive e di svilupparle una volta lontano dalla scena politica il
loro protagonista.
Leopoldo, secondogenito di Maria Teresa, � persona colta, ha assorbito
le idee illuministiche di Voltaire, Montesquieu e Rousseau, la filosofia di
Leibniz e i principi sulle istituzioni della Medicina di Dupont de Nemours. Per
la verit�, egli rimane il solo philosophe in un Granducato dove non
trovano ascolto le filosofie illuministiche a differenza di quanto si verifica
nella Lombardia di Verri e Beccaria o nella Napoli di Vico, Genovesi e
Filangieri (3). Nella tradizione dell'Universit� di Pisa, il progetto
leopoldino trova comunque importanti figure di amministratori capaci e
"illuminati": da Pompeo Neri, di ritorno nel 1758 a Firenze dopo
essersi distinto a Milano, ad Angelo Tavanti, dal 1770 fra i principali
collaboratori della politica economica di Leopoldo, fino a Chiarugi che si
laurea nel maggio 1779 presso la Scuola Medica dell'antico ateneo.
Leopoldo � figura singolare: da un lato esponente della cultura dei philosophes
e della raison, dall'altro solidamente ancorato all'assolutismo
illuminato di origine divina (4). Il suo governo, volto all'efficienza e al
miglioramento delle condizioni economiche di tutte le classi, rappresenta al
tempo stesso lo strumento migliore per accrescere e legittimare il potere dello
Stato assoluto: ci� comporta un'operazione di guida culturale, nei riguardi
degli ambienti intellettuali toscani, che Leopoldo si assume in prima persona.
Se i contatti e la collaborazione con gli ambienti universitari di Pisa
divengono, attraverso il provveditore Gaspare Cerati, intensi, Leopoldo non
arriva a circondarsi di un gruppo di intellettuali philosophes come i
parigini del nucleo di Auteuil, ma riunisce solo "buoni funzionari,
continuatori della tradizione repubblicana e medicea" (5).
Su questo sfondo culturale e ideologico prende avvio e si realizza
l'opera innovatrice di Chiarugi. Idea guida del governo di Pietro Leopoldo � il
risanamento dell'economia e questo comporta una pi� retta gestione
dell'assistenza pubblica: all'interno del progetto politico vengano a collocarsi
le riforme "per i pazzi" e le scelte che portano a
ristrutturare e inaugurare il Bonifazio. Con Leopoldo, la Toscana guarda alla
Francia e tuttavia rimane distante dai grandi movimenti culturali e filosofici
proprio per la solidit� e il primato culturale di una monarchia illuminata e
assolutista. Leopoldo si circonda di fidati amministratori e non di ideologues:
"I nostri riformatori costituiscono una classe dirigente illuminata. I 'philosophes'
sono gi� una nuova corrente politica, un partito... Non ci stupiremo dunque
vedendo che i maggiori frutti teorici del riformismo italiano non stiano nelle
teorie politiche, ma nelle discussioni sulla legislazione civile e penale e
nello studio dell'economia"(6). Peraltro anche gli ideologues francesi,
fatta eccezione per Cabanis, rimangono lontani dal potere amministrativo. Nel
rapporto conclusivo sui suoi anni di regno, che Leopoldo detta mentre lascia
Firenze per Vienna, tra le minute indicazioni "per chi verr� al governo"
emerge la preoccupazione costante di migliorare, con riforme finalizzate, i
presidi assistenziali pubblici: dai tribunali ai conventi, dagli ospedali alle
scuole. E vi si ricorda: "nello Spedale di Firenze di S. Maria Nuova vi
era pochissimo ordine e subordinazione... Lo Spedale dei matti di S. Dorotea,
ove erano tenuti malamente e sudiciamente a 5 o 6 per camera"(7).
Dal S. Maria Nuova parte l'opera di risanamento: nel 1785
l'amministrazione � unificata con quella degli altri ospedali, compresi il S.
Dorotea e il Bonifazio.
L'intervento riscuote successo, pi� delle iniziative nel campo
dell'economia e della politica agraria (8). I bilanci annuali, che lo stesso
Leopoldo riporta nel testo e in appendice alle Relazioni, lo dimostrano;
e dal 1788 si ordina che ogni ospedale "tanto di malati che di
trovatelli" renda pubblici i bilanci e il movimento annuale dei
ricoverati perch� sia possibile un maggior controllo (9).
Naturalmente non � solo l'interesse per la buona amministrazione a
muovere le profonde riforme che, nella seconda met� del '700, mutano
l'assistenza medica e psichiatrica in Toscana. In queste scelte prevale
l'attenzione tutta illuministica per il diritto e la giustizia sociale; anche se
l'attenzione rimane distinzione dei governanti e non tocca, come in Francia, le
classi popolari direttamente interessate.
Tra il 1770 e il 1780 Leopoldo si orienta a rivedere la legislazione e a
cogliervi le ambiguit� che gravano ingiustamente sull'individuo; si allinea cos�
a Turgot e a Dupont de Nemours nel mettere in luce la disuguaglianza del diritto
nei confronti dei vari soggetti sociali. E' questo principio a essere sostenuto
nella "Legge sui pazzi" del 24 gennaio 1774, e nel nuovo codice
penale del 1786. Accogliendo le riflessioni del Beccaria, sono abolite tortura e
pena di morte, e sollecitazioni ripetute vengono rivolte ai ministri guidati dal
Gianni, perch� formulino una nuova costituzione: siano eletti deputati con
potere legislativo e rappresentino direttamente gli elettori e non solo gli
stati sociali (10).
La legge del 1774, che prescrive il collocamento obbligatorio dei "pazzi"
a S. Dorotea, rappresenta il primo atto specifico di interesse per i folli, in
precedenza tenuti nelle carceri della Fortezza da Basso e delle Stinche e poi
nella Pazzeria. L'anno successivo il Granduca visita personalmente il S.
Dorotea, riportandone le impressioni nelle Relazioni del 1790 (11).
Chiarugi, laureatosi nel 1779, quando arriva a Firenze al S. Maria Nuova,
trova dunque gi� vivo l'interesse del Granduca per una diversa e illuminata
cura dei folli; pur essendo assegnato al S. Maria Nuova, dal 1783 frequenta le
corsie del S. Dorotea e, due anni dopo, vi viene ufficialmente distaccato, dal
Sovrintendente di S. Maria Nuova, in qualit� di "medico astante";
l'assegnazione al S. Dorotea � resa possibile dalla unificata gestione
amministrativa e patrimoniale dei due ospedali avvenuta proprio nel 1785.
Chiarugi inizia in questo periodo un'attiva collaborazione con Pietro
Leopoldo, e ne interpreta brillantemente i progetti sull'assistenza ospedaliera,
riguardo ai folli in particolare. Nel 1789 stabilisce il Regolamento, che
in nuce rappresenta un'anticipazione del Trattato, in quanto fissa
le coordinate dell'assistenza possibile e auspicabile, e disegna lo spazio
istituzionale all'interno del quale si collocano naturalmente le osservazioni
e le teorie sulla "pazzia".
Aperto il Bonifazio, ospedale "pensato" in modo specifico per
accogliere i folli, e dettato il "Regolamento", Chiarugi si
impegna in modo totale, ora che di questo scenario � il Primo
Infermiere-Direttore, a osservare e a studiare la follia, e lavora al Trattato.
L'opera � edita quando gi� da tre anni Leopoldo ha lasciato il Granducato; e
risulta attesa non solo in Toscana se, appena due anni dopo, ne viene pubblicata
la traduzione tedesca a Vienna (12).
Il Trattato sembra rappresentare, nelle vicende storiche del Bonifazio e
personali del Chiarugi, il punto culminante e al tempo stesso conclusivo di un
progetto di cura "specifica" e "illuminata"
per i folli. Una volta allontanatosi Chiarugi dalla diretta gestione, l'ospedale
perde lentamente le caratteristiche innovative della fondazione; e l'intero
progetto d'assistenza medica si connota, a differenza delle esperienze francesi
di Cabanis, Pinel ed Esquirol, quale disegno contingente, circoscritto
all'iniziativa di figure di spicco ma isolate: Chiarugi opera nella scia del
Granduca Leopoldo, ma il suo lavoro non suscita un percorso ulteriore e pi�
ampio di ricerche. Forse, a determinare un cambiamento negli interessi medici di
Chiarugi dopo la pubblicazione del Trattato, intervengono le vicende politiche.
Con l'occupazione napoleonica, il Granducato perde la caratteristica di piccolo
stato retto da un monarca illuminato, ed � accomunato alle province
dell'impero. Il mutamento politico comporta anche difficolt� di ordine
economico per Chiarugi: in una lettera del 1804 al Tommasini di Parma, considera
l'opportunit� di trasferirsi in qualit� di professore al liceo di Faenza per
far fronte a costanti disagi (13).
Nei confronti dei governi che si succedono in Toscana, Chiarugi mostra la
proteiforme disposizione di Pinel, passato indenne attraverso Rivoluzione,
dominio napoleonico e Restaurazione. Nel 1808 � membro di una delegazione di
sudditanza di cittadini empolesi al Commissario Dauchey (14). Nel 1805, si fa
assegnare l'insegnamento di "Malattie cutanee e delle perturbazioni
intellettuali" e, a Restaurazione avvenuta, nel 1814, appare nuovamente
in una delegazione di uomini illustri di Empoli, che si felicitano con
Ferdinando III di ritorno al Granducato restituito ai Lorena. Tali episodi non
sembrano tuttavia dettati da opportunismo, si spiegano con i profondi legami
mantenuti sempre con la citt� natale dove � personalit� rappresentativa (15).
Interessa invece registrare come Chiarugi, Primo Infermiere di Bonifazio fino al
1818, rallenti, a seguito di una serie di eventi d'ordine politico e non solo
personale, il progetto di riabilitazione e cura dei folli. I suoi scritti
successivi al Trattato riguardano temi di veterinaria (16), chimica (17),
storia, e l'interesse medico si focalizza sulla patologia cutanea (18).
Chiarugi rimane a Firenze la figura medica che gode di maggior
considerazione: nel 1817, durante una grave epidemia di tifo petecchiale, �
nominato "Medico delle epidemie" e l'anno successivo diviene
Sovrintendente dell'Ospedale di S. Maria Nuova, carica tenuta per altri due anni
fino alla morte.
Il Bonifazio gradualmente, gi� nel periodo della sua direzione, si
confonde nel grigio panorama delle istituzioni manicomiali. I ricoverati vengono
tenuti senza le attenzioni che avevano fondato l'opera innovatrice; e Girolami,
nel suo viaggio del 1853 (19), registra "l'aspetto carcerario"
ormai assunto dal Bonifazio (20). 2)
Chiarugi l'innovatore
Restituito al contesto storico, Chiarugi perde la connotazione mitica; ma
solo cos� � possibile coglierne il reale contributo innovativo. Il mito relega
Chiarugi al supposto primato, rispetto a Pinel (21), nell'aver pensato e
introdotto una cura "benevola" per i folli, ripudiando i mezzi di
contenzione e di violenza fisica; ma questa immagine appare riduttiva e
fuorviante rispetto a una corretta analisi del suo merito nella formazione della
scienza psichiatrica.
Il Trattato non � la prima opera medica in Italia a prendere in esame in
modo specifico il tema della follia. Vi sono precedenti illustri, basti pensare
al libro di Sementini a Napoli, 1766 (22), e all'opera, in Toscana, di
Cornacchini, 1768 (23). Anche questi due autori tendono a "laicizzare"
l'etiologia della follia privilegiando il corpo nella sua meccanica fisicit�,
quale scena e al tempo stesso causa della follia. I disturbi psicopatologici
confermano, nell'ottica di Cornacchini e soprattutto di Sementini, ipotesi di
fisiologia del sistema nervoso introdotte da Haller e poi di tipo browniano: il
soggetto si pone al centro di movimenti afferenti che ne evocano l'irritabilit�
e di "reazioni" che ne documentano la "vitalit�"
(24). Di tali concezioni, il Trattato di Chiarugi rappresenta una pi�
articolata sintesi, pur collocandosi nello stessa linea teorica riguardo alle
ipotesi fisiologiche: come gi� in Sementini, l'impulso si propaga attraverso
onde in nervi cavi ripieni di "liquido nerveo" (25). Sebbene lo
sforzo teorico segnali punti di netta differenza e evoluzione rispetto alle tesi
di Sementini e Cornacchini, in fondo � soprattutto la sua collocazione, in un
contesto medico-istituzionale specifico, a determinare la distinzione e a
segnarne il carattere innovativo nella cura medica e nell'assistenza specifica
dei folli, rispetto a altre regioni italiane; il Trattato acquista un senso
particolare in quanto legato alla esistenza del Bonifazio dove le teorie sono
dedotte da uno sguardo che indaga lo sviluppo diacronico della "Centuria
di Osservazioni".
Chiarugi sancisce, nello studio della "pazzia" e pi� in
generale della Medicina "solidista", una precisa relazione tra lo
sguardo osservante e la legge dell'ordine naturale della quale il corpo, nella
malattia, � vittima. I luoghi d'osservazione della pazzia (26) entrano, con
Chiarugi, nello spazio di una medicina per elezione "positiva". E'
l'uso specifico dei "luoghi" a distinguere Chiarugi dai predecessori,
da Daquin, e dallo stesso Pinel rispetto al quale andrebbe sottolineata pi� la
continuit� che la contrapposizione; il progetto di Chiarugi � di fare del
Bonifazio un luogo della Medicina, mentre Pinel struttura per la follia, a
Bicetre e poi alla Salpetriere, il luogo della Clinica (27). Il percorso
all'interno del quale si collocano questi tentativi � comunque teso a
recuperare la "pazzia" (Pinel direbbe "follia") da
giustificazioni fatalistico-religiose e a distinguerla nel polimorfo panorama
della generale emarginazione. Chiarugi si impegna costantemente a dare
"specificit�", senso e oggettivit� alla "pazzia", sia pure
comprendendola in ambiti pi� generali: il Bonifazio ospita solo alcune
classi di bisognosi, "gl'incurabili gia' confermati ed allettati;
gl'invalidi, i Dementi ed i malati cutanei" (28).
Il "senso" viene reso attraverso la tesi fisicalista
(29) della "pazzia", intesa quale malattia del cervello: "le
nostre cure si sono ristrette alla sede della malattia, cio� alla parte
contenuta nel cranio" (30).
Questa operazione, che colloca finalmente il folle nel contesto della
Medicina e ne fonda cos� la "curabilit�", non risulta semplice.
Chiarugi, nella redazione della prima parte del Trattato, � costretto a una
difficile sintesi di contrastanti assunti teorici: convinto seguace delle teorie
di Haller e poi di Brown (31), non pu� mettere in discussione sul piano
fisiologico l'esistenza dell'Anima; l'Anima, ritenuta, gi� da Sementini, non
indagabile nell'essenza, viene comunque ad avere una sede l� dove si concentra
la particolare sensibilit� del corpo. L'aspetto "fisico" e
commensurabile dell'Anima si rappresenta nel "sensorio comune",
concetto a ponte fra l'Anima e il corpo, il visibile e l'invisibile, giunto a
Chiarugi e a Sementini da Th. Willis attraverso Cullen (32): il Sensorio Comune
� collocato nel cervello fra midollare e corticale "dove l'Anima ha il
pi� immediato rapporto col corpo" (33).
L'Anima ed il Sensorio Comune concedono all'invisibile il ruolo di
giustificazione necessaria, e non si articolano nella complessa fisiologia
tracciata da Chiarugi; ovviamente, per l'intrinseca natura, Anima e Sensorio
Comune, cos� come i loro immediati attributi, la Memoria e l'Immaginazione, non
possono ammalare. Questo punto � cruciale nella fatica teorica di Chiarugi;
segna un percorso di logica induttiva che permette l'applicazione ai fenomeni
comportamentali dei concetti halleriani, fondati sull'assunto fisiologico di
parti in contrasto alla costante ricerca di un equilibrio. Dall'Anima-Sensorio
Comune emanano le entit� Memoria-Immaginazione il cui equilibrio � retto dal
Giudizio e dal Raziocinio: e da questi due elementi, che rappresentano livelli
vari e infiniti del rapporto Memoria-Immaginazione, si rivela il corpo, e quindi
la malattia: "questa alterazione di Giudizio, ed in conseguenza di
raziocinio, � ci� che si chiama Delirio" (34).
E' interessante notare come in Chiarugi si intersechino costantemente le
immagini del corpo con l'evidenza delle funzioni, e come, nel caso specifico,
agli equilibri delicati tra Memoria e Immaginazione corrispondano i luoghi
dell'Anima- Sensorio Comune posti su un confine, in equilibrio anch'essi, "col�
dove la sostanza corticale finisce e principia la midollare".
Crinale di ogni considerazione rimane comunque il corpo, registro di ogni
comportamento e quindi di ogni motivo di pazzia: il delirio (per Chiarugi
sinonimo di pazzia) non potr� mai spiegarsi con "un vizio dei sensi
esterni", ma trova ragioni fisiopatologiche interne alla meccanica del
corpo. E' questa fede a guidare lo sguardo nella raccolta della "Centuria
di Osservazioni", soprattutto quando, nella pratica settoria, si
sofferma e indaga sui cadaveri dei ricoverati deceduti al Bonifazio. Le
considerazioni conclusive di ogni osservazione ricostruiscono sempre un iter di
cause meccaniche, che procede dalla lesione (si tratta di alterazioni generiche
della sostanza cerebrale) al comportamento folle, alle passioni (35).
Si delinea cos� una netta differenziazione tra Chiarugi e la psichiatria
Alienistica francese. Chiarugi non � incline a riconoscere nelle
passioni le cause della "pazzia", le considera solo effetti di
equilibri-squilibri interni (36), appunto "malattie del corpo" che ne
confermano la legge naturale.
Per i francesi Pinel e Esquirol la "pazzia" di Chiarugi diventa
significativamente Alienation, derangement nell'esistenza
dell'individuo intesa quale lucida presenza e continuit� del cogito cartesiano
(37).
Non � lecito, come vuole una lunga tradizione storiografica
sull'argomento, comparare le due diverse posizioni, peraltro entrambe efficaci,
e sul piano culturale e in quello operativo, nei rispettivi contesti storici;
sembra invece importante notare come Chiarugi, nel dirsi "somatista",
si confermi con Neri, Tavanti, Gianni, Pelli-Bencivenni, membro della scienza
illuminista voluta nel Granducato da Pietro Leopoldo (38). E' la matrice
illuminista, prima ancora che positivista, a collegarlo a Sementini, formatosi
nell'atmosfera di cultura napoletana di Vico, Genovesi, Cotugno (39). I
francesi, Cabanis, Pinel e Esquirol si situano nella linea del cogito
cartesiano, vedono la folie come Alienation. A
Parigi le riforme di Bicetre sono propugnate da un gruppo di "medecins
philosophes" fermi nei propri assunti anche contro le radicate
convinzioni del Direttorio (40); a Firenze la riforma del Bonifazio � voluta
invece da illuminati uomini di scienza, sostenuti da Pietro Leopoldo nel loro
compito di legislatori, amministratori e medici.
L'opera di Chiarugi assume cos� caratteri particolari, legati al
contesto culturale del Granducato, ben diverso rispetto a quello della Francia
rivoluzionaria.
Le innovazioni, introdotte dal Trattato, vengono sostenute dal
regolamento e prima ancora dalla legge sui pazzi del 1774. E' un filo che, nel
segno della corretta amministrazione, organizza nuove attenzioni nella cura dei
folli. La preoccupazione dell'amministrazione traspare costantemente nelle
indicazioni del regolamento: la suddivisione dei malati in quattro classi viene
decisa in rapporto alle disponibilit� economiche dei ricoverati; e tuttavia la
Medicina trova uno spazio graduale per segnalare la sua specificit� di sguardo
e di competenza (41).
Per la prima volta il "Medico Curante e Primo Infermiere"
(42) assume un ruolo decisionale, specifico, nel condurre e nel connotare in
senso terapeutico gli spazi interni di uno "Spedale dei pazzi";
ci� sorprende, se si considera che nella vicina Bologna al S. Orsola solo nel
1818 con Domenico Gualandi e a Roma a S. Maria della Piet� nel 1851 vengono
posti dei medici a dirigere degli ospedali fino ad allora governati da esponenti
della gerarchia ecclesiale (43).
Il ruolo del Primo Infermiere � parallelo a quello di "tre
Cappuccini Sacerdoti, i quali perci� abiteranno ivi nel quartiere per essi
destinato... Uno di questi sacerdoti avr� una certa direzione di tal piccola
comunit� col titolo di Presidente, sotto la dipendenza per lo spirituale
dell'Arcivescovo di Firenze e per il temporale del Commissario di S. Maria Nuova"
(44).
Amministrazione e attenzioni mediche procedono costantemente parallele al
Bonifazio. L'ammissione di nuovi ricoverati prescrive al "Cappuccino Assistente
d'interrogare l'infermo, o inferma, sopra le cose principali della Religione,
con istruirli nel caso opportunamente secondo il bisogno" (45). Il
Medico Curante raccoglie la storia del "Demente" e indaga
"sopra le cause, indizij e periodi della loro malattia" (46).
La cura egualmente vede coesistere un atteggiamento che potremmo definire
di pedagogia religiosa a fianco dell'intervento medico teso a mantenere integro
nel "pazzo" il suo statuto di malato, soggetto non alienato, ancora
appartenente a tutti gli effetti alla societ� civile. I Cappuccini sono
chiamati nella gestione quotidiana a fare "visite ordinarie e periodiche
da replicarsi nelle diverse ore del giorno e anco sulla sera, e principio della
notte" (47), a celebrare Messa "in tutte le mattine" (ib.);
a benedire "il cibo dei malati e malate, tanto prima del pranzo che
della cena" (48), e preoccuparsi "che in ciaschedun giorno i
malati e malate dicano gli atti di fede" (ib.).
Il Medico Curante non ha momenti di diretto intervento sul malato,
concentra l'azione "terapeutica" nella costante preoccupazione che la
gestione dell'ospedale sia efficiente e attenta nell'accudire e rispettare i
ricoverati: "Il Primo Infermiere invigiler� che chi assiste o chi serve
in qualche maniera agli Spedali adempia esattamente a tutte le rispettive
incombenze"(49); e "si porter� improvvisamente nelle
infermerie, per fare le necessarie perquisizioni sopra i doveri di chi assiste"
(50).
La lunga e complessa dimissione dei ricoverati, pensata da Chiarugi quale
momento di restituzione del malato alla vita normale e alla famiglia, considera
tuttavia la possibilit� che l'interesse dell'Amministrazione prevalga sulle
ragioni della Medicina e si possano dimettere malati anche "prima
dell'intiera loro guarigione... qualora poi occorresse qualche istanza dei
parenti o di altri." (51).
Queste note delineano il Bonifazio quale spazio dell'assistenza e della
buona amministrazione: Chiarugi ottempera alle tesi di Leopoldo e insieme
realizza il suo progetto di restituire il "pazzo" all'intelligenza e
alle cure della Medicina, e lo fa pensando alla "armonica"
amministrazione di uno ospedale quale eco e figura speculare di una smarrita
armonia interna al corpo. La cura, al Bonifazio, si correla alla serenit�
trasmessa dal luogo (52) e dalla saggezza delle regole istituzionali. Si
evidenzia cos� una delle caratteristiche peculiari delle tesi introdotte da
Chiarugi nella cura della follia: l'idea "somatista" e meccanicista
assimila il buon governo di uno Stato e di un luogo di cura al buon governo
interno del corpo; il medico non ha motivo di cercare un contatto diretto, personale
col malato, il disturbo � ritenuto estraneo alla contingenza della relazione e
quindi agli affetti, alle passioni.
Ancora il Regolamento e il Trattato si intersecano e insieme esprimono
l'idea "nuova" di Chiarugi. Non si tratta solo di evocare un'armonia
interna al corpo, questa � tesi gi� della medicina del sei-settecento, ma
originale � la relazione diretta che viene stabilita fra le leggi del corpo e
il senso attivo, "normalizzante", dei luoghi di cura della follia.
Un punto rimane da considerare: come mai la riforma si esaurisca in breve
lasso di tempo, quasi si concluda con l'edizione del Trattato, e fatichi a
sopravvivere durante la stessa gestione del fondatore. Chiarugi rimane al
Bonifazio fino al 1818, anno in cui nel vicino S. Orsola Domenico Gualandi
introduce attenzioni specifiche nell'ordine della Clinica. E' significativo, per
la nostra analisi, che al Bonifazio, dalla inaugurazione (1788), non si
verifichino mai incompatibilit� tra il Medico Curante e il Presidente; e questo
perch� entrambi risultano a loro volta funzioni del potere unificante della
Amministrazione.
Dopo l'epoca di Leopoldo e del Trattato, Chiarugi incontra difficolt�,
non solo nel continuare a sostenere le sue tesi ma nel renderle coerenti con un
modello "esterno" che evochi la possibilit� di un sano e
"recuperabile" governo interno. Dal 1803 le idee di Chiarugi seguono
il suo destino; egli rimane figura distinta della Medicina e della cultura
locale ma � assorbito da compiti lontani dalla psichiatria. Intanto, in Italia,
con Domenico e Giovanni Gualandi a Imola e a Roma, il Salerio a Venezia (53), i
regolamenti e la fondazione delle Reali case de'Matti di Aversa del 1813 (54),
la nostra psichiatria si colloca nella linea della medicina alienistica,
preoccupata della fondazione di un sapere specifico e positivo, e, dopo l'Unit�,
cercher� di ricavare all'interno della dottrina una linea storica unitaria e
radici autoctone della propria tradizione di cultura. Il dibattito fra Carlo
Livi e Brierre de Boismond rientra in tale preoccupazione nazionalistica, e non
ha, a nostro avviso, altra giustificazione storica.
Mentre la "riforma" di Chiarugi si esaurisce, sul piano del
contributo culturale-scientifico, in Toscana e poi nell'Italia post-unitaria, si
possono rintracciare vari percorsi che in Chiarugi trovano il precursore. Ad
esempio le importanti lezioni fiorentine, iniziate nel 1805, sollecitano in
Toscana interesse per lo studio e la cura dei folli. E, dopo la fase di riforma
al Bonifazio, a Lucca, con il Bonaccorsi, "allievo" di Chiarugi,
vengono introdotte, nella cura dei ricoverati, attenzioni nuove e di tal portata
da non potersi attuare negli stessi anni al Bonifazio: il "reclusorio"
della Fregionaia con Bonaccorsi introduce, dal 1813, metodi di cura ergoterapici
e di affidamento etero-familiare dei ricoverati (55) che fanno della Fregionaia
il luogo dove si attua "il migliore metodo curativo.. tutto dolce, tutto
filosofico, senza ombra di violenza, col non usare meno in caso di necessit�,
della camiciuola inglese e neppure del semplice racchiudere in camera"
(56).
La linea, che si sviluppa a partire da Chiarugi nella psichiatria
italiana, mantiene, a differenza dell'impostazione della scuola francese,
connotati strettamente "somatisti", organicisti, con inclinazione alla
neurologia pi� di quanto avvenga in altri paesi europei. Nel Trattato Chiarugi
definisce pi� volte la "pazzia" come "affezione idiopatica"
cerebrale (57) e respinge nettamente termini evocanti il concetto di
"mentale" (58). Questa preoccupazione sembra anticipare il dibattito
del 1873 sulla fondazione e denominazione della Societ� degli Psichiatri
italiani, voluta da Andrea Verga quale Societ� Freniatrica e non Psichiatrica
per ribadirne la solida radice "somatista". In questo senso, Chiarugi
ha intuito e per alcuni versi tracciato l'indirizzo originale e, questo s�,
autoctono, della psichiatria italiana, destinata a trovare in Lombroso
l'interprete "somatista" della Degenerescence di Morel e
Magnan, e in Leonardo Bianchi, pioniere della Neurologia intesa come scienza
autonoma rispetto alla Psichiatria, il protagonista della legislazione
psichiatrica del 1904.
E' questa sensibilit� oscillante a caratterizzare la psichiatria
italiana, incline costantemente alla giustificazione fisica, e al tempo stesso
affascinata dalla complessit� dello psichico. In una delle Osservazioni,
Chiarugi si avvicina ad un melancolico, sicuro dell'efficacia dell' "elettricismo"
che per�, lo riconosce, "irrita moltissimo i pazzi". Il medico
non dubita della sede cerebrale della malattia e del suo aspetto fisiopatologico,
ma nel curarla deve essere attento a non irritare il paziente che non collabora:
"Ho praticato poi di dare le scosse verso il collo per avvicinare lo
stimolo alla sede dell'inerzia..." (59).
N
O T E (1)
V. CHIARUGI, Regolamento Dei Regi Spedali di Santa Maria Nuova e di
Bonifazio, G. Cambiagi, Stamperia Granducale, Firenze, 1789. (2)
Fino al 1640 i "dementi" venivano rinchiusi a Firenze o nella
"Fortezza da Basso" se abbienti, mentre andavano nel carcere delle
"Stinche" se di ceto povero. In quest'epoca un frate carmelitano,
padre Leoni da Brescia fonda con l'aiuto dell'arcivescovo di Firenze Piero
Niccolini una "casa dei Pazzerelli" che dal 3 febbraio 1643, fu retta
da un altro frate, padre Diciotto da Bergamo. In seguito a molte donazioni fu
acquisito lo stabile del collegio femminile di S. Dorotea dove nel 1646, grazie
anche all'aiuto di Innocenzo X, si poterono trasferire gli ospiti della
"Fortezza da Basso" e parte di quelli delle Stinche. Nel 1688 a S.
Maria Nuova Mons. Michele Mariani costruisce una "pazzeria"
dove si accolgono tutti i poveri delle Stinche. L'insufficienza dei locali dei
due istituti viene risolta nel 1754 col trasferimento di tutti i "pazzarelli"
di Firenze nell'antico convento di S. Niccol� del Ceppo a cui viene dato il
nome di S. Dorotea. Nel 1785 la gestione del S. Dorotea viene fusa con quella di
S. Maria Nuova. Subito dopo un'ala dell'antico ospedale di Bonifazio (cos�
chiamato da Bonifazio Lupi, marchese di Soragna) viene trasformata da Lorenzo
Martelli e dall'architetto Giuseppe Salvietti nell' "Ospedale della Carit�
per Dementi" inaugurato nel 1788. (3)
Cfr. STORIA D'ITALIA EINAUDI, 3, pp. 92 e segg. (4)
Cfr. A. SILVESTRINI, Introduzione a: PIETRO LEOPOLDO, Relazioni sul
governo della Toscana, L. S. Olschki, Firenze, 1969, pp. VII-XV. (5)
ib., p. VIII. (6)
F. VENTURI, La circolazione delle idee, in: Rassegna Storica del
Risorgimento, XLI, II-III, apr.-sett. 1954, pp. 206-207. (7)
PIETRO LEOPOLDO, cit., 224. (8)
Cfr. STORIA D'ITALIA EINAUDI, 3, pp. 123. (9)
PIETRO LEOPOLDO, cit., pp. 127. (10)
Cfr. STORIA D'ITALIA EINAUDI, 3, pp. 123 (11)
C. FERRIO, La psiche e i nervi, UTET, Torino, 1948; riferisce che alla
visita al S. Dorotea ci fosse anche lo stesso Chiarugi, ma la cosa appare
alquanto improbabile in quanto all'epoca Chiarugi aveva solo 16 anni; pp. 304 e
segg. (12)
Cfr. A. SCAPINI, La pazzia nell'interpretazione di Vincenzo Chiarugi,
Giardini, Pisa, 1966, p. 15. (13)
E. BENASSI, Alcune lettere di Vincenzo Chiarugi a Giacomo Tommasini, Riv.
Storia Sc. Mediche Nat., anno XXXVIII, 1-2, pp. 61-65. Cfr. anche M. NISTRI, La
vita e le opere di Vincenzio Chiarugi, in: Onoranze a V. Chiarugi nel secondo
centenario della nascita e atti del convegno psichiatrico tenuto in Empoli il 22
febbraio 1959, p.46. (14)
Gazzetta Toscana del 23 gennaio 1808, n. 4, pp.12-13; cit. in: V.
CHIARUGI, Della storia d'Empoli, Ass. Turistica Pro Empoli, 1982, p.15
(pubblicazione postuma di un manoscritto di Chiarugi che aveva scritto questa
storia per leggerla in lezioni successive ai soci dell'Accademia Colombaria. La
prima stampa della Storia fu pubblicata parzialmente su alcuni numeri de
"Il Nuovo Corriere" nel periodo febbraio-marzo 1953, mentre l'edizione
da noi considerata � una ristampa presentata per la prima volta per intero nel
1959 in un numero speciale del Bullettino Storico). (15)
Oltre all'aver mantenuto sempre una casa ad Empoli il legame alla propria
citt� natale � testimoniato proprio dalle lezioni in cui si articola la Storia
d'Empoli, cit. (16)
V. CHIARUGI, Sulla timpanite delle bestie vaccine, ecc., mns. cit in:
Della Storia..., p.13. (17)
V. CHIARUGI, Lettera scritta al sig. ... fiorentino in cui si considera
la "Dissertazione del sig. Fabbroni sulla natura dell'arsenico e sulla
maniera di preparare l'acido arsenioso" cit. in: L. CASTALDI, Alcune
notizie su V. Chiarugi e i suoi resti corporei, Atti della Soc. It. di Storia
delle Sc. Mediche e Naturali, Firenze, 5 ott. 1941, p.8. (18)
V. CHIARUGI, Saggio teorico pratico sulle malattie cutanee sordide
osservate nel R. Spedale Bonifazio di Firenze, Allegrini, Firenze 1799; idem.
Pagani, 1807. (19)
G. GIROLAMI, cit. in: P. RAVANELLI, A. M. Valsalva (1666-1723),
Anatomico, Medico, Chirurgo, Primo Psichiatra; Galeati, Imola, 1966, p. 76. (20)
Succedette a Chiarugi Niccol� Bruni (1821-1833) il quale ebbe il merito
di precisare la connotazione dello spazio del Bonifazio trasferendo i
"malati cutanei" e lasciando che tutto l'Ospedale fosse adibito
all'accoglimento di malati psichiatrici. Nel 1839 durante la direzione di
Vincenzo Capecchi (1833-1842) il Bonifazio assunse la denominazione di
"Manicomio"; negli anni 1890-1896,durante le direzioni di Pietro
Grilli (1885-1895), Augusto Tamburini (1895) e Eugenio Tanzi (1895-1903) fu
trasferito nella sede definitiva come "Manicomio di S. Salvi", Nel
1925 con la direzione di Paolo Amaldi (1906-1937) fu denominato "Ospedale
Psichiatrico Vinvenzo Chiarugi". (21)
C. LIVI, Pinel o Chiarugi? Lettera al celebre dottore alienista Brierre
de Boismont, 1864. L'articolo apparso su La Nazione, di Firenze � riportato
integralmente in: C. FERRIO, cit., pp. 306-318. Cfr. anche K. M. GRANGE, Pinel
or Chiarugi?, Med. Hist., 7, 1963, pp.371-380. (22)
A. SEMENTINI, Breve delucidazione della natura e variet� della pazzia,
Giaccio, Napoli, 1766. Su Sementini rimandiamo al nostro lavoro: La psichiatria
di A. Sementini e il pensiero medico napoletano del secondo Ottocento, in Atti
della XXI Biennale della Marca e dello Studio Firmiano per la storia dell'arte
medica, Fermo 8-10 maggio 1987, Benedetti, Ancona, pp.163-170. (23)
P. CORNACCHINI, Della pazzia, Siena, 1768. (24)
Nelle tesi di Sementini, secondo un'ottica pi� ad indirizzo brawniano
viene data larga importanza alla potenzialit� del contesto esterno nel mettersi
in contatto ("irritabilit�") col soggetto; � da questa interazione
che partono tutti i fenomeni studiati dalla Medicina e dalla Fisiologia; la
vita, per Sementini � "potenzialit� di movimento". (25)
V. CHIARUGI, Della Pazzia..., ed. Carlieri,p. 16. (26)
"Costituito in uno Spedale , ove abbondantissimo numero d'infermi di
questa fatta accolgonsi, affin di curarsi sotto la mia direzione, avevo io un
comodo immenso d'osservare, e di provare; e quindi credei mio dovere il tentare
di riempire il vuoto che aveva in questa parte la Medicina..." (V. CHIARUGI,
Delle malattie cutanee sordide in genere e in specie. Trattato teorico pratico,
G. Pagani, Firenze, 1807, Prefazione). (27)
Cfr. G. RIEFOLO, F. M. FERRO, Note sulla fondazione della Psichiatria
Clinica: prassi dell'osservazione e nascita della "cartella", Gior. St.
Psicol. Dinam., XI, 22, 1987. pp.177-202; G. RIEFOLO, Pinel e le istituzioni
della Clinica, Bollettino dell'Acc. di St. dell'Arte San. (in stampa). (28)
V. CHIARUGI, Regolamento ..., cit., p.293. (29)
"fisico" esprime meglio in Chiarugi la contingenza nel corpo
della legge naturale; distinto soprattutto dai registri interpretativi di tipo
"umorista" che Chiarugi respinge nettamente. Il concetto di "organicista"
� piuttosto riferibile alla psichiatria successiva in cui, all'interno del
"fisico" l'"organo"-cervello viene ad assumere una sua pi�
precisa connotazione fisiopatologica. (30)
V. CHIARUGI, Della Pazzia..., cit., vol. III, p.84. (31)
Si vedano i contatti epistolari del Chiarugi con Giacomo Tommasini (E.
BENASSI, Alcune lettere..., cit.) alle cui "lezioni critiche di
Fisiologia" si deve la diffusione delle teorie browniane in Italia. A
Napoli Sementini e Nicola Andria propongono, ancor prima del Tommasini le
ipotesi fisiologiche di J. Brown (1735-1788), (N. ANDRIA, Elementi di Medicina
del dottor G iovanni Brown, frl. Marotta, Napoli, 1796). (32)
Per il concetto di "Common sense" in Th. Willis cfr. K. DORNER,
Burger und Irre, 1969 (tr: it. Il borghese e il folle, Laterza, Bari, 1975). (33)
V. CHIARUGI, Della pazzia..., cit., vol. I, p. 14. (34)
ivi, p. 9; cfr. anche la definizione a p.32 in cui "Le pazzie
sono... affezione idiopatica del Sensorio Comune..."(35) A. VEDRANI,
definisce Chiarugi "somatista, ippocratico e morgagnano" (Gli
scienziati italiani dal Medio Evo ai nostri giorni, Nardecchia, Roma, 1927,
pp.40-44). (36)
V. CHIARUGI, Della pazzia, cit., vol I, p.24 ,136 e segg. (37)
Cfr. S. MORAVIA, Alla ricerca della ragione perduta. Pinel e la nascita
della psichiatria moderna. In: Ph. PINEL, La mania, Marsilio, Venezia, 1987, pp.
IX-XXXII. Di S. Moravia cfr. anche: Il tramonto dell'Illuminismo, Laterza, Bari,
1968. (38)
Si tratta di un contesto culturale decisamente legato alla tradizione
repubblicana medicea, quindi meno sensibile alle sollecitazioni rivoluzionarie
francesi a differenza di quanto avviene ad esempio a Napoli, dove gli esponenti
della medicina ufficiale quale Sarcone, Andria, i due Cirillo ed altri risultano
fra i protagonisti e vittime della rivoluzione del '99. (39)
Su D. Cotugno vedi l'importante raccolta antologica curata da A. Iurilli,
D. COTUGNO, Opere, Lacaita, Manduria, 1986. (40)
F. FONTE BASSO, Il gesto liberatore. Philippe Pinel fra mito e storia,
in: Ph. PINEL, La Mania, ... cit., p. XXXIII e segg. (41)
"La destinazione delle classi, per rapporto alla qualit�, e al
grado della malattia, dipender� dall'osservazione, e dalla perizia del Primo
Infermiere Medico Curante, o nell'atto della prima ammissione di simili infermi,
o nella successiva pi� sperimentata attuale cognizione dei medesimi nella loro
dimora nello Spedale" (V. Chiarugi, Regolamento...., cit., "Delle
Classi"). (42)
ivi, p.297 e segg. (43)
cfr. il nostro lavoro "Note sulla fondazione..." cit. (44)
V. CHIARUGI, Regolamento..., cit., p. 294. (45)
ivi, p.295. (46)
ivi, le pp.300 e 358. (47)
ivi, p. 295. (48)
ivi, p. 296. (49)
ivi, p. 298. (50)
ivi, Articolo II "Del Medico Curante e Primo Infermiere", pp.
297-308. (51)
ivi, p. 304.(52) "Cento camere ventilate, e fornite di tutti i
comodi, ed utensili occorrenti...", ivi, p. 356. (53)
Sul S. Servolo di Venezia cfr.: M. GALZIGNA, H. TERZIAN (a cura di),
L'archivio della follia, Marsilio, Venezia, 1980. (54)
V. D. CATAPANO, Le Reali Case de' Matti nel Regno di Napoli, Liguori,
Napoli, 1986. F. STOK, La formazione della psichiatria, Il Pensiero Scientifico,
Roma, 1981. (55)
Sostanzialmente si trattava di affidamento alle famiglie del personale
che lavorava nell'ospedale i quali impegnavano i malati soprattutto nel lavoro
dei campi. Cfr. G. B. GIORDANO, Considerazioni storiche sul movimento degli
alienati nell'Ospedale psichiatrico provinciale di Lucca dal 1786 al 1820, in:
Onoranze a V. Chiarugi..., cit., pp. 63-73. (56)
T. TRENTA, Guida del forestiero per la citt� e il contado di Lucca,
1829, Cit. ivi, p. 64. (57)
V. CHIARUGI, Della Pazzia..., cit., vol. I, p. 32. (58)
ivi, vol. III, pp. 10-11. (59)
ivi, vol III. p. 237 |