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Nella storia della psichiatria e soprattutto nelle vicende complesse
della psicopatologia a noi vicina, De Clérambault rappresenta un caso dalle caratteristiche enigmatiche. I destini dei contributi
teorici e della sua lezione di psicopatologia rimangono incerti, sospesi in un
ambito che ne propone la limpida genialità e al tempo stesso la trasgressione
rispetto ai comuni metodi, nosologici e clinici, della psicopatologia di primo
'900 e anche della psichiatria contemporanea. La revisione della figura clinica
e del registro nosologico della Paranoia, la trattazione dei deliri passionali e
dell'erotomania, rimangono frammenti di riflessione clinica molto acuta, e
tuttavia isolati nelle varie fasi del percorso della nosografia fino al DSM III[1].
In particolare la tesi dell'Automatismo Mentale, certamente l'elaborazione
teorica più legata alla figura di De Clérambault, tende ad essere dimenticata
con la scomparsa del suo autore, e se tuttora affascina, lascia al tempo stesso
perplessi e diffidenti coloro che si avvicinano ai suoi scritti.
La persistenza a tutt'oggi di reazioni contrastanti e a volte
contraddittorie segnala certamente una duplicità, o una vera e propria
confusione, del registro interpretativo da adottare nella lettura dell'opera e
nella considerazione stessa della figura del
clinico parigino[2].
Tale duplicità, a nostro avviso, non rappresenta un limite, segnala
semplicemente la specificità innovativa di una proposta teorica prima ancora di
attestare una largamente riconosciuta capacità di osservazione clinica. Il
linguaggio attraverso cui l'oggetto indagato, persino sezionato nelle caratteristiche minimali viene ad essere proposto,
sembra avere la necessità di rintracciare nuove ed originali immagini
evocative, persino una propria
sintassi. Alcune volte l'originalità
dello stile ha senso, non tanto per una semplice questione estetica, quanto per
l'esigenza di definire immagini nette che risaltino dalla essenzialità della
trama: «Psicosi allucinatoria sistematica
progressiva. Stadio avanzato. Polimorfismo. Alcuni indizi di futura demenza
vesanica. Esordio attraverso Automatismo Mentale (lettura del pensiero,
enunciazione degli atti, etc.). In seguito, voci propriamente dette (1915). Temi
primitivamente erotici: giochi coniugali osservati, commentati, fotografati.
Voci distinte e individualizzate dal camino. La notte, dialoghi con queste voci
che durano per ore. In seguito, temi di persecuzione... Dopo il 1920,
misticismo, grandiosità, delirio dogmatico... Massima pericolosità.
Impossibilità di remissione... »[3].
A più riprese lo stile dei testi e dei famosi certificati[4]
è stato associato alla fotografia[5],
all'Impressionismo e al puntinismo di
Seurat[6].
Ma, oltre l'innegabile progetto patografico, lo stile sembra comporsi automaticamente
in una sorta di coerenza con l'oggetto che descrive. La sintassi spesso rinuncia
al verbo: il quadro, nel denso spessore sintetico, si compone così escludendo
il movimento. L'autore vuol proporre qualcosa che sia prima di tutto visibile istantaneamente, e al tempo stesso tenta di offrirne una
rappresentazione netta e, soprattutto, immobile.
La comunicazione complessiva propone le varie immagini in una cornice rarefatta
e anaffettiva. Ogni frammento, disegnato minuscolo, ha due funzioni: un senso
intrinseco e una funzione acquisita per l'appartenenza contingente al quadro
generale. Le due funzioni sono separate fra loro sul piano della relazione
logica; si compongono solo come sintagma
attraverso nessi di contiguità prima ancora che associativi. In questo senso,
lo stile viene ad essere al tempo stesso strumento comunicativo e documento
che ha già in sé le caratteristiche della dottrina.
Lo stile quindi si presenta "originale", ma soprattutto, sullo
sfondo, confessa un profondo e critico coinvolgimento. De Clérambault, nelle
sue passioni[7]
e nell'atteggiamento verso la Clinica, è
nello stile. L'immagine che se ne può ricavare è paradossale rispetto ai
canoni riconosciuti della dottrina: là dove si tenta di descrivere fenomeni
elementari e li si vuole assolutamente esclusi rispetto alle emozioni e agli
affetti, attraverso il lapsus dello stile De Clérambault appare personaggio
vinto dalla passione acuta per la clinica, legato ai pazienti da una
partecipazione intima sino a incrinare e confondere le identità reciproche. E'
proprio lo "stile" nella sua struttura a segnalare il fascino e la
fatica di incontrare le passioni. L'atto finale del suicidio sembra segnare
l'apice di tale confusione di identità: il paziente invade completamente il
medico che, per separarsene, vuole (tenta di) osservarlo.
Nelle stesse fotografie prevale costantemente l'anaffettività e la
immobilità statuaria dei personaggi; i soggetti sembrano appendici necessarie
all'esibizione dei drappi. Solo una volta, fra le centinaia di fotografie
arrivate fino a noi, sembra insinuarsi casualmente una posa in cui i personaggi
appaiono vivi e in cui un lapsus del fotografo sembra inavvertitamente cogliere
e sottolineare l'atteggiamento affettivo e l'emozione dei protagonisti: una
donna stringe il braccio di un ragazzo/a che reclina appena il capo sulla
spalla. E' la sola foto in cui chi osserva può essere colto dalla scena, prima
ancora che dalla sinuosità statuaria dei drappi (foto 1). In De Clérambault le
emozioni, intense, possono solo essere svelate nei lapsus dello stile, della
clinica, della biografia e delle fotografie dei drappi.
Una possibilità di ricostruire il controverso personaggio, si delinea,
quindi, nell'intersezione dei dati della biografia con la confessione che egli
fa di sè attraverso la sua clinica e l'opera artistica. Non ha alcuna
importanza, qui, decidere se si sia trattato o meno di un uomo malato; la nostra
linea di riflessione cerca solo di cogliere il registro adeguato per
interpretare un testo che un approccio convenzionale e accademico svilisce,
pensiamo, fino a fraintenderlo. Abbiamo visto come gli assunti ufficiali della
dottrina siano presto smentiti dal
documento dello stile. Dalla lezione ultima, dall'atto della morte, possiamo
allora riconsiderare tutti i casi clinici come faticosi tentativi di
introspezione, proprio quando sembravano essere ribaditi la distanza e il netto
controllo del medico rispetto al paziente[8]. E ci rendiamo conto di
come, per adottare un registro interpretativo adeguato, si debba sempre porre,
in controluce al testo letterale, una immagine speculare tanto densa di affetti
e di emozioni quanto il testo sembra invece proporla analettica. Ancora una
volta, lo "stile", sia degli scritti che delle fotografie, nel suo
costituirsi a contrasti attraverso immagini nette, ci conforta in questa tesi.
La clinica di De Clérambault è una metafora.
E' quanto Lacan suggerisce ricordando e riprendendo la lezione del maestro, e
riconoscendo nella sua dottrina e nel suo stile le tracce che dalla psichiatria
l'hanno portato a "rileggere" Freud[9].
La chiave di lettura ci appare adeguata e pensiamo che solo il registro
metaforico permetta di cogliere le potenzialità dell'opera di De Clérambault.
La metafora non è voluta, costituisce la struttura dello stile e segna il
confine dinanzi al quale si fermano, inespresse, le intuizioni. La metafora,
peraltro, è immagine semplice e ha il vantaggio di essere concreta: la sua
assunzione letterale è un errore e perverte la comunicazione. Di per sè, la
necessità della metafora svela la vera qualità del messaggio che ne è alla
base e che, proprio per il fatto di dover essere comunicato con
"altri" termini o "altre" immagini, rivela di non aver
ancora parole proprie. Non solo. Oltre
il documento dello stile e il registro della metafora, nel descrivere i casi il
linguaggio di De Clérambault propone un ribaltamento del senso: la struttura
del linguaggio prevale sul contenuto:
«è la struttura generale, e non il
contenuto, che definisce una entità clinica...»[10]
In questa luce, alcuni episodi della vita di De Clérambault assumono ai
nostri occhi, ancora una volta, il senso di un documento che aiuta ad
interpretarne l'opera. Molte volte, nella biografia, il senso di alcune
decisioni e di alcuni avvenimenti si coglie nella struttura dell'evento più che
nel contenuto. Si ravvisa continuità tra la pratica della clinica e una
biografia peraltro densa, in modo singolare, di svariate identità e povera di
elementi affettivi.[11].
Appare significativa, al riguardo, l'attenzione per il proprio monumento
funerario, tentativo di ribadire un legame, persino l'appartenenza, con terre
divenute per i lunghi trasferimenti, quasi una nuova patria.
Di ritorno da uno degli ultimi viaggi, egli porta con sè dal Marocco una
stele e vi fa iscrivere un testo enigmatico[12].
La dedica alla sua tomba.
E' presumibile che sia la pietra-stele in sè, quale oggetto che
prescinde dal testo inscritto, a rappresentare il senso funerario al momento
della morte. Allora il testo, pur prevalente all'apparenza, risulta fuorviante e
di poco conto, ancor più qualora si vogliano trovare riferimenti personali. E'
la pietra, oggetto concreto, con le proprie caratteristiche intrinseche,
particolarmente riconosciuta sua, che,
ad un certo punto e secondo contingenze precise, viene investita della delega di
rappresentare il defunto, di custodire nella infinita vita della pietra, il
senso di una vita così profondamente segnata dai viaggi in Marocco. Il senso
vero della stele è sintagmatico. E' la struttura (una pietra che viene dal
Marocco) a prevalere sulla sovrastruttura (il testo inciso). Mentre la prima ha
un senso di verità, la seconda è
solo accessoria e confondente. Il testo, come la tessitura tematica dei deliri,
ha un senso solo marginale nella descrizione (costituzione) dell'evento e nella
organizzazione del messaggio. Il testo della stele è quanto di più
impersonale: una eco di saggezza antica. La voce di un popolo che accoglie
intera la dignità speciale della vita di ciascuno dei suoi componenti accettati
nel gruppo attraverso l'effimera posizione di un anonimo viaggiatore, destinato
a passare attraversando il gruppo (popolo) che, come la pietra, rimane per
sempre. Confusione, o almeno perplessità, deve aver colto gli eredi e gli amici
al momento della morte, se la volontà che la stele fosse depositata
sulla tomba non ha trovato adempimento che nel 1989 [13]. 2.
i concetti di Automatismo nella
psicopatologia di fine '800
L'Automatismo psicologico di Janet[14]
è, in verità, un concetto distante rispetto a quello di De Clérambault.
Differente è anzitutto il modo in cui i due autori concepiscono l'Automatismo
in relazione alla continuità dell'esperienza vissuta. Janet rintraccia il
meccanismo automatico in una fase regressiva, ma in continuità con la storia
del soggetto. Per De Clérambault si tratta invece di una frattura netta, di un
episodio assolutamente contingente, nell'esperienza del soggetto[15].
Janet rinvia sempre al piano della psicologia tutte le sue tesi, e
l'Automatismo psicologico descrive così il funzionamento della vita psicologica
del soggetto, come si evidenzia quando l'indebolimento della fonction du réel fa
emergere piani differenti e alternanti di personalità multiple; il suo
Automatismo è nella linea dell'Automatismo ambulatorio descritto da Charcot nel
1888, e anche si correla all'Automatismo di Jackson precorrendo la tesi
organodinamica di Ey, sintesi tra la psicologia di Janet e la psicologia
neurologica (associazionista,
organizzata a livelli di progressiva integrazione e complessità) di Jackson.
De Clérambault, su un versante ben distinto, sottolinea le
caratteristiche di impulsività e di neogenesi degli elementi dell'Automatismo
Mentale[16].
Inoltre, mentre l'Automatismo Psicologico di Janet costituisce il substrato per
l'espressione dei quadri isterici e di "neurastenia", l'Automatismo
Mentale assume invece una funzione genetica in sè: è radice, e non sfondo,
della costituzione delle forme della psicopatologia.
I riferimenti ontogenetici dei due concetti appaiono poi assolutamente
opposti. Per Janet, come già per Jackson, a riemergere sono funzionamenti
antichi o, semplicemente, elementari: «subconscio,
inconscio e Automatismo sono termini reciproci[17]».
De Clérambault propone invece l'emergenza di un funzionamento altro,
di eguale complessità rispetto a quello cosciente, ed espressione di un danno
alla sostanza cerebrale considerato "neoplastico" a tutti gli effetti.
L'Automatismo di Jackson, colto essenzialmente nella considerazione degli
stati epilettici, svela tuttavia
alcuni elementi comuni con la figura delineata da De Clérambault. La comune
radice è nella fede strettamente organica delle due teorie; l'espressione del
sintomo, in quanto "automatica", è governata necessariamente da
dinamiche affatto psicologiche, bensì organizzate come un arco riflesso
neurologico: «esistono dolori percepiti e
tuttavia non assimilati...»[18].
Per entrambi la questione dell'afasia rappresenta un privilegiato punto di
avvio. De Clérambault sembra sviluppare l'idea di Wernicke il quale, per la sua
sindrome, proponeva la "teoria della disgiunzione". Il modello è
fisiopatologico, e comunque meccanico.
De Clérambault, dopo il fenomeno di Automatismo Mentale, propone le
allucinazioni quali manifestazioni prime nell'esordio di veri e propri sintomi
psicotici[19]: «Il
contenuto ideico delle allucinazioni ideo-verbali tende continuamente a far
dimenticare che, sul piano scientifico, è importante solo il meccanismo... Il
processo allucinatorio cronico è un esito molto tardivo di infezioni acute
dimenticate o passate inavvertite. (...) Le allucinazioni... sono
intrinsecamente neutre, l'ansia le dissipa, uno stato di euforia le favorisce;
è per questa ragione che prosperano nei deliri mistici; esse non si organizzano
per sequenza, ma si associano per congruenza... Ogni sistema di idee,
particolarmente le storie di persecuzione, è assente. E' il piedistallo che
attende la statua...»[20].
Il fenomeno
fisico della cronassia, cioè del ritardo nel percorso di un segnale nel sistema
nervoso, aderisce perfettamente alla "afasia di conduzione" (Wernicke).
Nello stesso senso opera la tendenza, negli anni di fine '800 - tendenza attiva
sino alla psichiatria fenomenologica- ad assumere il modello
"elettrico" delle sindromi epilettiche per comprendere alcuni fenomeni
psicopatologici. Da Samt in Germania (1876), a Tamburini e Luciani in Italia
(1880) fino a Seglas in Francia (1892), si tenta di stabilire una correlazione
diretta fra irritazione dell'area di Wernicke ed allucinazioni. Per Seglas le
allucinazioni dipendono dall'eccitazione dell'area di Wernicke, laddove l'afasia
è espressione della sua distruzione.[21].
Nella visione di De Clérambault l'afasia viene esasperata come modello
fisico. In Jackson l'afasia rivela come la struttura cerebrale sia costituita
secondo livelli a complessità
crescente e conferma le tesi associazionistiche inclini ad individuare il
cervello quale nodo e custode centrale dei percorsi associativi. Jackson propone
tre tipi di simboli comunicativi: l'immagine, la parola e la pantomima[22].
La pantomima concerne inevitabilmente l'afasia nella forma di Wernicke, e, nel
sostituire integralmente la parola, dimostra come la comunicazione venga
definita solo dal meccanismo. Le associazioni si verificano integre dimostrando
come la parola sia subalterna alla sua immagine "centrale". La
pantomima diventa la sostanza della parola, il suo scheletro.
Anche nella clinica di De Clérambault il senso della pantomima appare
prevalente rispetto alla parola. Il discorso del paziente, ritenuto fuorviante o
comunque secondario, nella diagnosi, rispetto all'Automatismo, viene colto nella
pantomima prima ancora che nella parola. Lo studio dei drappi, i manichini, i
personaggi delle fotografie marocchine non presentano forse essenzialmente
figure mute? E non è forse la loro disposizione e la postura il nucleo del
messaggio?
Comunque, già a questo livello, si colgono alcune differenze importanti.
Come Charcot e Janet sono orientati a descrivere il costituirsi della personalità
psicologica secondo livelli progressivi di integrazione con la realtà, Jackson
esalta le leggi fisiche del corpo
(dell'organismo?) e coglie nella fisiologia i modelli del funzionamento
psicologico: l'esasperata fede nel modello associazionista non è altro che la
rappresentazione, in psicologia, delle connessioni ampie che l'anatomia e la
fisiologia svelano fra gli organi[23].
In Jackson, come nella filosofia pragmatica inglese e in Condillac,
l'Automatismo e l'incoscienza rappresentano l'emersione (in grado proporzionale)
di immagini arcaiche affioranti come un «linguaggio antico» costituito da «proposizioni
morte», formule che possono così essere dette senza pensieri[24].
In De Clérambault l'Automatismo è un meccanismo che semplicemente
riordina, secondo un altro registro, i dati attuali del soggetto: il "nuovo
ordine" non necessariamente ha un senso psicologico, si organizza
essenzialmente secondo dinamiche concrete e meccaniche.
Per motivi contingenti e legati alla legge del 1838 in base alla quale un
prefetto, anche senza il parere del medico, poteva fermare qualunque alienato
che presentasse un comportamento disturbante per l'ordine pubblico[25],
De Clérambault mantiene un punto di osservazione singolare, insolito per la
psichiatria accademica dell'epoca attenta essenzialmente a un ambito clinico
asilare. La psichiatria di De Clérambault è elettivamente quella dell'urgenza.
La cornice dell'asile è assente, o
appena accennata nella storia pregressa del paziente, irrilevante in ogni caso
per le riflessioni dello psichiatra nel suo potere di delineare e definire il
percorso della cronicità. Sebbene la clinica di De Clérambault finisca per
occuparsi in misura prevalente di stati psicotici stabilizzati, le Psicosi
Allucinatorie Croniche e la classe dei Disturbi interpretativi, tutto il suo
percorso teorico è orientato alla critica della nosografia e di una clinica
intenta a disegnare specifiche figure della cronicità considerandole quali
processi "naturali", e quindi perfettamente compiuti proprio nel loro
stato di massima organizzazione[26].
A ritroso nel percorso patologico, De Clérambault esalta come
costitutivi della psicosi i fenomeni dell'esordio: dopo l'esordio, il percorso
è secondario, governato dalla naturale reattività del soggetto e dalle sue
caratteristiche, anagrafiche e psicologiche: «Continue
transizioni legano continuamente i deliri ipocondriaci, di possessione e di
persecuzione. Queste transizioni si osservano nell'ambito sensitivo, affettivo e
ideico; in effetti, la scelta o il rifiuto, o la coesistenza parziale di una
delle tre modalità di spiegazione dipende: 1° dalle modalità intrinseche
della sensazione iniziale; 2° dal carattere precedente del soggetto; 3° dalle
sue idee e dalla cultura dell'ambiente[27]».
La nosografia classica viene considerata da De Clérambault come una
nosografia di esiti e non di veri disturbi
psicopatologici: «la Psicosi
Allucinatoria Progressiva, tipo Magnan, non è altro che un Automatismo
Mentale... I bei casi di persecuzione allucinatoria con estrema ostilità,
costituiscono piuttosto una Sindrome clinica definita, ma non una entità dal
punto di vista dell'analisi»[28].
Nel caso dell'Automatismo Mentale, la nosografia preesistente, quella
sostanzialmente giunta fino a noi, viene a perdere gran parte del valore e le
fasi di esordio con i loro costituenti elementari mettono sullo sfondo e fra
parentesi la preoccupazione per i sintomi o per le cause etiologiche; «In
Clérambault la Gestalt era totale»[29].
A determinare tale netto cambiamento nel registro interpretativo è senza
dubbio la differenza sostanziale del contesto dove, per trent'anni, De Clérambault
sceglie di lavorare. In un certo senso con la sua attività inizia il conflitto
fra scienza asilare e "ambulatoriale": il suo compito appare sì
legato al contesto del manicomio, per il filtro che rappresenta rispetto agli
eventuali ricoveri, ma la Clinica ne rimane esterna e sostanzialmente estranea
per mandato istituzionale. E' una Clinica dell'urgenza, dove il manicomio non ha
ancora segnato alcuna tara; ne consegue che la nosografia asilare si rivela
inadeguata per questa clinica dell'urgenza non contemplata dall'Asilo. Questo
tipo di clinica, istituzionalmente ambulatoriale,
è chiamata a spiegare i fenomeni psicopatologici nella loro potenzialità
e non nella loro apparenza.
De Clérambault è costretto ad intuire lo spessore potenziale del quadro
clinico prima di redigere il suo certificato, mentre la clinica asilare si
limitava a contemplare il quadro evidente il cui spessore poteva, al massimo,
essere rappresentato dalla certezza della futura cronicità o persino demenza.
Non solo. De Clérambault è costretto ad una precisa discriminazione, che, per
mandato, può solo operare sul piano della Clinica, circa il concetto di
"pericolosità". La posizione di urgenza gli permette di verificare
come la pericolosità sia cosa ben differente rispetto alla malattia mentale; la
pericolosità non rappresenta un processo, ma semplicemente un episodio, molto
circoscritto, che in pochi giorni può completamente ricomporsi.
Precisiamo. Vi è una pericolosità che è un dato contingente
all'incontro e alle caratteristiche del paziente, e vi è una pericolosità che
il clinico può intuire a livello di prognosi. De Clérambault sarà famoso per
il pessimismo e la negatività con cui considerava i percorsi psicopatologici[30].
Solo la pericolosità colta prognosticamente sollecitava l'internamento, mentre
la pericolosità connessa all'urgenza e all'incontro col paziente, nonostante la
cornice della Prefettura di Polizia, poteva essere riconosciuta episodica e
transitoria, di scarso interesse per la diagnosi[31].
L'alcolismo e le intossicazioni varie ricorrono spesso nei certificati e
in questi casi, non procedendosi all'invio in manicomio, la cura coincide e si
esaurisce con la formulazione della diagnosi. Al tempo stesso si può parlare,
per la clinica del Depot, di una clinica della pericolosità nell'accezione
interdisciplinare, capace di collegare psichiatria, giurisprudenza e sociologia.
E' significativo che alle presentazioni di casi del vendredì
partecipasse solo un pubblico scelto fra medici, giuristi,
avvocati e intellettuali di ogni disciplina: caratteristiche tutte che De
Clérambault riassumeva nel proprio percorso formativo.
L'osservazione rigorosa e minuziosa pensiamo non esaurisca il suo senso
nella semplice individuazione di elementi nucleari. Fino a questo punto De Clérambault
appare come un clinico
"meccanicista"[32].
Infatti, dalla articolazione degli aspetti "puntiformi" individuati
attraverso l'osservazione, non scaturisce una logica ricostruzione dell'evento
osservato, ma si avvia un processo di analisi altrettanto rigorosa capace di
stravolgere quella che sembrava la logica più evidente. E' il caso dei deliri
passionali e dell'erotomania: «... molti
processi che, secondo una prima descrizione logica, vengono definiti
interpretativi, in realtà, alla loro origine, sono immaginativi»[33].
E' in primo piano non tanto il fine metodo di osservazione, quanto l'analisi del
caso che conduce a individuare un percorso dalla progressione ribaltata rispetto
a quanto sembrava evidente e, come tale, accettato dalla psichiatria accademica
dell'epoca. E' uno fra i tanti paradossi che l'opera di De Clérambault
promuove: l'osservazione rigorosa svela nella sua qualità più fine la
possibilità di smentire o ribaltare proprio la logica che all'apparenza la
governa. Quanto ad un primo sguardo - ed è il caso dell'Erotomania - può
sembrare logico e causale (meccanico), dopo una osservazione rigorosa si rivelerà
secondario. I personaggi del delirio vedono ribaltarsi la priorità del ruolo:
«L'idea che domina la psicosi non è
quella che la genera, nonostante ciò che la psicologia comune sembra indicare e
la psichiatria classica confermare... La formula classica della psicosi è
invertita»[34]
E' un percorso che, in anni vicini e quasi seguendo linee parallele,
descrive il presidente Schreber (1911) nel costruire il proprio delirio
paranoico mettendo a fuoco un nesso fra preoccupazioni omosessuali e paranoia.
Per i deliri passionali, e in particolare per l'Automatismo Mentale,
l'inversione causale della formula delirio/allucinazioni si pone nella
prospettiva del registro freudiano: la logica corrente e evidente non
necessariamente è applicabile alla sequenzialità dei fatti psicopatologici, e
ciò che sembra un effetto può indicare la causa. In quest'ottica
l'osservazione dipende dalla posizione occupata dall'osservatore.
Nel primo viaggio nel nord dell'Africa, De Clérambault, per cogliere e
fotografare con esattezza il disegno delle tracce lasciate dall'esplosione delle
mine, va a porsi nel loro campo di proiezione, nella linea di tiro: la traccia
riesce a svelare il senso intrinseco solo quando l'osservatore vi si immerge. La
distanza riguardo all'oggetto dell'osservazione va colmata dalla posizione
dell'osservatore il quale si immedesima nella scena calandosi nella proiezione
dell'esplosione. Solo la funzione di fotografo, avido raccoglitore di tracce, ne
garantisce la distanza. La funzione,
individuata con precisione e rigore, permette di calarsi nella scena osservata;
consente cioè la posizione delicata (e pericolosa) dell'interazione, persino
della condivisione. Quanto più è chiara e netta la funzione del clinico, tanto
più riesce spinta e delicata la sua osservazione rispetto all'oggetto
osservato. La certezza della oggettività dei fenomeni osservati permette a De
Clérambault di spingersi sino ad interagire e ad entrare profondamente
nel percorso del quadro psicopatologico: ed è soprattutto
certezza di uno statuto netto di distanza irriducibile - quella della
Clinica oggettiva- tra sè e il paziente.
Con ogni probabilità, l'inversione di posizioni, in occasione
dell'intervento di cataratta, lo scopre incapace a sostenere il ruolo di oggetto
osservato, di malato[35].
«Verso i cinquantasette anni,
dall'occhio destro cominciai a vedere le forme degli oggetti modificati in modo
bizzarro...»[36]
La percezione alterata degli oggetti può riuscire bizzarra se confrontata con
la conoscenza certa e anteriore dell'oggetto. Lo scarto è l'angoscia (la
consapevolezza) di essere in balìa di fenomeni potenti ed estranei, tesi ad
incrinare le certezze percettive. De Clérambault descrive la progressione della
cataratta come un neoplasma. La possibilità di una guarigione, in tutto il Souvenir
è inseguita con affanno, ma si inscrive sempre su un fondo di ineludibile
pessimismo: la "malattia" rimane fenomeno potente e, come le mine,
scava solchi indelebili che dicono della sua incomparabile potenza devastante
rispetto alla miseria e alla impotenza del soggetto malato. L'oculista Barraquer
all'inizio è accolto in una atmosfera idealizzata di speranza; ma lentamente la
sua fisionomia nelle sensazioni di De Clérambault confessa note incoerenti,
dissonanti, che già annunciano considerazioni depressive[37]
Le cronache parlano di un periodo di acuta depressione; e il suicidio non
sembra essere stato un atto impulsivo, ma meditato e accuratamente preparato[38].
La scena allestita per il suicidio indica ancora un disperato tentativo di
confondere la posizione potente dell'osservatore rispetto a quella passiva
dell'oggetto osservato. Il mattino del 17 novembre 1934, De Clérambault si cala per l'ultima volta lungo le
linee di proiezione e nel campo di tiro, sulle tracce delle mine che esplodono.
E non riuscirà, come chiedeva a Barraquer, a «...vedere la fine del tunnel».
Nelle foto dei danzatori marocchini ogni identità è velata. Prevalgono il drappo, la piega; ancora un'inversione di
senso: il particolare, il frammento, assurge a costituzione del quadro
adombrando decisamente l'identità del soggetto.
Inoltre, nelle foto non si cerca di cogliere gesti o posture abituali, ma
l'essenza pura del drappo nella sinuosità netta delle pieghe. De Clérambault,
come nelle interviste ai pazienti dell'Infermeria Speciale, impone alle figure
«posture generatrici di pieghe inattese[39]»
In questo quadro è la luce a svelare
le forme; essa è secondaria ad ogni struttura[40].
Le pieghe esistono quali realtà oggettive ed autonome e la luce, come lo
sguardo, le coglie ma non le determina: è la netta separazione fra l'oggetto e
il soggetto che ha il potere di osservare. Ed è il tentativo esasperato di
presentare la possibilità di una osservazione oggettiva, non contaminata
dall'osservatore. Lacan e la psicoanalisi invertiranno tale posizione,
ribadiranno come la posizione dell'osservatore sia già lo statuto di quanto si
coglie nell'oggetto[41]:
«...il quadro, certo, è nel mio occhio.
Ma io sono nel quadro»[42].
La questione è tuttavia più precisa. De Clérambault propone un oggetto
"supposto essere" indagato in modo oggettivo, svelato nelle leggi
intrinseche. Queste leggi possono, quindi, essere solo indagate e svelate, e mai
determinate dallo sguardo che si organizza nella incessante avidità di cogliere
la realtà dell'oggetto: «Quando si vuole
ingannare un uomo, ciò che gli si presenta è la pittura di un velo, vale a
dire qualcosa al di là del quale egli domanda di vedere»[43].
Le pieghe dei drappi vengono organizzate ed animate da De Clérambault,
sino a poter essere classificate: rappresentano l'elemento semplice e
vitalizzante del drappo; in un certo senso sono gli elementi
nucleari senza i quali il drappo sarebbe inanimato involucro. La luce (e
nelle foto si sottolinea tale particolare) non è solo il mezzo che svela allo
sguardo le pieghe, e indubbiamente ne determina, se non l'essenza, la qualità:
l'incidere vario e cangiante della luce sostiene il discorso delle pieghe, accetta una loro preesistenza rispetto alla
luce: «...non sono corpi drappeggiati che
fotografa, ma stoffe animate da una vita propria, non più semplici vestiti, ma
pelle, letteralmente "tessuti cutanei"»[44].
In alcune fotografie il progetto è netto: una stessa posa viene ripetuta ad
esposizione sempre maggiore e la luce, attraverso il risalto delle pieghe,
sembra determinare figure, solo in apparenza, differenti (foto 2 e 3).
Si assiste a una progressione: le pieghe, la luce, e lo sguardo. Le
pieghe attengono all'oggetto, lo sguardo al soggetto, la luce, nella differente
maniera di incidere, di sottolineare profondità, continuità e contrasti, è il
vero elemento affettivo del quadro
clinico. E', cioè, la diversa combinazione degli elementi nucleari, nel loro
essere colti dall'osservatore, a proporre una maggiore o minore intimità al
quadro clinico; ne vengono esaltate alcune parti, velate altre: la combinazione
(il movimento interattivo) degli elementi nucleari non ne sostituirà né
determinerà mai l'esistenza allo stato puro[45].
Le foto dei drappi, collegate alle lezioni all'Academie
del periodo 1923/26, e preliminari alla classificazione (originale per l'epoca)
dei drappi, sembrano sostenersi sul senso della luce, elemento necessario, fino
a questo momento, a svelare solo qualcosa di precostituito. De Clérambault
sembra anticipare quanto Lacan proporrà nei Seminari sullo "Sguardo come
oggetto a": «...la
preesistenza al visto di un dato-da-vedere»[46].
Il confronto delle posizioni di De Clérambault con la psicoanalisi agli
inizi degli anni '20/'30, se vuol essere tentato, va di necessità
contestualizzato. E' infatti confronto che si istituisce fra la posizione di un
movimento teorico ancora debolmente supportato
sul piano clinico e una clinica rigorosa, netta ed ampia quale quella di
De Clérambault. Si tenga poi conto della banalizzazione a cui erano condannate
le teorie freudiane nell'essere assunte da culture distanti, o addirittura
ostili nel loro fondamento, come quella medica[47]. Non vi è dubbio che la
psicoanalisi, se non viene assunta nel pieno del suo spessore e densità
teorica, possa risultare banale e fin troppo automatica e prevedibile nelle
assunzioni[48].
Il confronto e lo scarto, fra la psicoanalisi importata in Francia[49]
e la clinica rigorosa di De Clérambault, non ha permesso paragoni legittimi e
costruttivi sino all'avvento di Lacan negli anni '50. E non è un caso, forse,
che la fondazione di una autentica clinica psicoanalitica francese per opera di
Lacan venga a recuperare l'antica apparente distanza con la clinica di De Clérambault[50]. Le due
posizioni teoriche, attraverso la lezione di Lacan, si compendiano; anzi,
è proprio il concetto di Automatismo Mentale a fornire a Lacan la base teorica
su cui fondare la dimostrazione dell'antico assunto freudiano della
irriducibilità e dicotomia tra nevrosi e psicosi. Attraverso la lettura che può
farne Lacan, l'Automatismo Mentale di De Clérambault diviene registro che
ordina il discorso dello psicotico in antitesi al discorso isterico e nevrotico
in generale[51].
L'Automatismo Mentale diviene il modello di un discorso senza significante,
interdetto al simbolo: l'eco del pensiero, le associazioni per omofonia e per
contiguità di senso, gli automatismi psicomotori e sensoriali, l'enunciazione
degli atti rappresentano la deriva di ogni significato; sono, come afferma Lacan,
la struttura dell'inconscio stesso, la prevalenza dell'Altro sul soggetto. Il
confronto con lo psicologismo psicoanalitico ed asilare (di Claude e di Gilbert
Ballet) risulta assolutamente perdente rispetto al rigore della clinica come la
propone De Clérambault.
Il percorso che De Clèrambault propone per la psicosi è, dai fenomeni
elementari dell'esordio allo stabilizzarsi del quadro clinico conclamato, un
percorso che procede dal dato assolutamente neutro, anaffettivo e anideico, alle
sovrastrutture sintomatologiche che il soggetto costruisce reattivamente e che
coinvolgono gli affetti, la razionalizzazione, fino ad interessare «...la
psicologia che non ho mai preteso fuggire...»[52].
La lezione di Lacan sulla psicosi, ribadita nel percorso segnato da
Freud, descrive un percorso parallelo: «Il
segreto della psicoanalisi è che non ha psicogenesi[53]».
I fenomeni elementari dell'Automatismo mentale, anideici ed anaffettivi,
ottengono in Lacan lo statuto di oggetti senza significante. Molto più di
quanto si sia segnalato finora, e anche molto più di quanto fosse disposto a
riconoscere lo stesso Lacan, il percorso che in De Clérambault va dai fenomeni
elementari (primari) agli affetti
(elementi secondari) è, in Lacan, il percorso del progetto significante
(dall'oggetto concreto al simbolo). Lo psicotico è incapace di rintracciare
nella sua esperienza gli antichi affetti contenitivi (Winnicott), perché la sua
realtà non può essere rinviata a qualcos'altro dalla strutturale incapacità
alla simbolizzazione. Ogni esperienza appare continuamente segnata dalla
esperienza catastrofica di inaccessibilità al Nome-del-Padre nella relazione
duale: il dato concreto prevale, nella sua estrema realtà, rispetto alla funzione simbolica. Anche in Lacan la
psicosi rimane (in antitesi con la nevrosi)[54]
scatenamento automatico di una serie di eventi ordinati secondo un registro
meccanico.
Se si guarda oltre l'apparente prevalenza del meccanicismo nelle tesi di
De Clérambault, si scopre che l'oggetto
ha una importanza particolare. La psichiatria asilare attribuiva all'oggetto
delle psicosi (temi deliranti, allucinatori,...) un senso solo passivo, di pura
descrittività. Si pensi alle nosografie ottocentesche di Hoffbauer o di Schüle,
parcellizzate secondo la caratteristica descrittiva degli oggetti (dei temi) nei
quadri psicopatologici. In questi autori il soggetto si pone passivamente
rispetto al prevalere degli oggetti del delirio. In De Clérambault invece
l'oggetto ha connotati attivi.
E' la qualità dell'oggetto che per De Clérambault assume un valore
discriminante nella nosologia. La presenza dell'oggetto, e la sua qualità
intrinseca, definisce le Psicosi Passionali. A differenza delle tesi precedenti,
è ora la passione per l'oggetto e non più la persecuzione del soggetto a
descrivere il quadro. L'oggetto svela un potere intrinseco che coinvolge e vince
il soggetto. L'esordio della psicosi può essere rappresentato come l'esplosione
della potenza dell'oggetto che governa poi le emozioni del paziente. Peraltro, i
drappi e le fotografie di De Clérambault cosa sono se non il riconoscimento del
potere dell'oggetto sul soggetto? Le fotografie del Marocco non permettono di
discriminare la figura, neppure il sesso dei personaggi che vestono i drappi: «un
drappo si classifica dallo schema della sua costruzione»[55]
(mettere foto 1-2-3 sui drappi).
L'assenza dell'oggetto, nelle psicosi, è la psicosi allo stato puro, cioè
l'Automatismo Mentale: l'oggetto, poi, potrà comporsi nell'allucinazione o nel
delirio, ma solo in un secondo momento e come reazione della personalità sana.
La Paranoia, ridimensionata rispetto a Kraepelin e al maestro Magnan, rimane
crinale tra il normale e l'Automatismo Mentale in cui l'oggetto persecutorio è
presente sin dall'inizio.
L'interesse attuale per l'opera di De Clérambault è nel ribaltamento
dei livelli di priorità che egli stesso sembra, almeno ufficialmente, proporre
per la sua clinica. Scopriamo così una clinica corposa e ben definita degli esordi della psicosi, dove l'esordio ha il riconoscimento di un
processo interno e differente rispetto
alla psicosi considerata nella comune accezione. Si scopre così la iatrogenicità
di interventi proposti, sul piano tecnico o meno, al paziente che presenti un
quadro di scompenso psicotico iniziale; viene sancita inoltre l'estrema
importanza degli esordi (la prima crisi)
rispetto al percorso ulteriore che vede le crisi sempre più inscritte in un
quadro di organizzazione deficitaria dell'esperienza psicotica.
I clinici fino ad oggi hanno
preso alla lettera l'insegnamento di De Clérambault, ne hanno esaltato la
genialità e lo spirito seduttivo ed istrionico[56],
ma han finito per trascurarne il vero suggerimento che forse egli stesso non è
riuscito a proporre in modo limpido e che solo ora, alla luce di un approfondito
interesse della psicoanalisi per la clinica delle psicosi, è possibile
cogliere.
Nella fase di esordio, il soggetto verifica l'esplosione psicotica come
fenomeno registrabile, ma non descrivibile: sono le sensazioni di malessere e di
estraneità per quanto sta accadendo a segnare l'esordio. I sintomi negativi e
positivi dell'Automatismo basale, Sindrome S, sono semplicemente quanto è
possibile registrare sia soggettivamente nel paziente sia oggettivamente nella
descrizione da parte del clinico di quanto sta accadendo. Sono come il grido di
dolore che segue ad una puntura; si evidenziano con l'esattezza del percorso di
un riflesso; hanno senso solo nella loro esistenza automaticamente indotta.
Già il tono di angoscia, in cui questi elementi iniziali si inscrivono,
è una posizione affettiva e quindi secondaria. Tali elementi hanno il senso di
rompere drasticamente una continuità. Non possono avere alcun contenuto
tematico: riflessi che non contengono alcun tono affettivo. I temi e gli affetti
saranno poi gradualmente portati dal soggetto che all'invasione psicotica
necessariamente cercherà di porre argini.
Colta nell'osservazione e considerazione del momento circoscritto
dell'esordio, la clinica di De Clérambault è una clinica delle psicosi allo
stato iniziale e degli stati acuti e critici. La fase dell'esordio, già nelle
considerazioni dell'autore, è tanto puntiforme da essere quasi una vera e
propria astrazione, necessaria perché sia segnato il punto di partenza. A noi
interessa quanto egli, con l'osservazione e la speculazione clinica, riesce a
cogliere di questa zona tanto densa quanto puntiforme e fuggente della fase di
esordio. Poco ci importa della giustificazione che poi offre a questi esordi: i
tossici, le cause infettive, e la distorsione della cronassia nella trasmissione
degli impulsi, hanno forse già ai suoi occhi i caratteri della metafisica tanto
da occupare, in verità, poco spazio nella comunicazione dei casi. E' il quadro
degli esordi, il «mosaico», che occupa la parte di maggiore interesse in De Clérambault.
Si tratta della rigorosa «...fedeltà
all'involucro formale del sintomo... (fino)... al limite in cui si ripercuote in
effetti di creazione» [57].
La costruzione psicotica è necessariamente creativa
in quanto attiene alle capacità reattive del soggetto.
Una serie di sintomi elementari, schizzati appena nei certificati della
I.P.P.P., danno subito il quadro della crisi in atto. La costruzione progressiva
del quadro clinico, la giustificazione delirante, la comparsa di sintomi
correlati è già nel campo della "psicologia": essa sa spiegare la
psicosi come un edificio dinamico che nella progressiva complessità è
sostenuto da forze vitali del soggetto. Soprattutto, la sua progressiva e
continua articolazione tematica e sintomatica rivela come le numerose forme
cliniche della nosografia classica siano veri e propri artefatti.
La critica di De Clérambault alla nosografia esistente sta nel ritenerla
unicamente una nosografia di esiti. All'origine questi quadri, che la
psicopatologia considera come differenti, svelano l'appartenenza ad una radice
comune.
Il "meccanicismo " di De Clérambault viene criticato da Ey in
quanto fondato su di una «psicologia
atomista» per la quale il quadro clinico è la somma degli elementi
parziali. Tutto questo è possibile, ma è altresì possibile considerare il
ribaltamento di tale posizione che,
pensiamo, sveli, la vera natura e la vera lezione di psicopatologia del maestro.
Le sue tesi meccanicistiche non sono, a ben guardare, il presupposto, ma l'esito
di una fede soprattutto organicista, certa della ragione meccanica, magari
funzionale, della psicosi. A partire dalle ricerche sull'otoematoma, le analisi
minuziose concernono assolutamente le fasi iniziali del processo patologico:
tentano l'impossibile compito di segnare l'esordio.
Si delineano essenzialmente tre livelli. Formalmente, gli elementi
minuziosi si giustificano nell'orientare una diagnosi differenziale tra disturbi
soprattutto tossici: le piccole differenze colte nella descrizione del quadro
clinico possono già segnalare il tipo di tossico[58].
Questa posizione è soprattutto "medica" e, peraltro può essere
considerata la premessa metodologica alla fondazione della teoria dell'Automatisme:
«...la concezione meccanicista dell'Automatismo Mentale emerge
direttamente dallo studio delle psicosi tossiche[59]».
In secondo luogo, l'indagine volta a precisare i fenomeni elementari
tende a circoscrivere (anche senza rispondere a un progetto consapevole) il
momento dell'esordio della psicosi, piuttosto che i suoi elementi costitutivi.
Infine, fra i vari elementi nucleari, si mettono a fuoco quelli attivi e quelli accessori.
Se contestualizzata, la posizione "meccanicistica" appare
leggibile come una opposizione netta all'ideogenismo e al ruolo delle
determinanti affettive nella genesi dei disturbi psicotici dichiarate dalla
dottrina accademica contemporanea di H.Claude e di Gilbert Ballet.
All'apparenza, la cesura rispetto alle posizioni -anch'esse
contemporanee-psicodinamiche e psicoanalitiche risulta netta, ma si tratta solo
di una posizione formale e strumentale, e tale da essere completamente
recuperata se, invece di attenersi alla disputa fra "categorie"
dottrinali generali, si privilegiano i momenti di convergenza e persino di
identità. Il confronto irriducibile, se mai, rimane con la psichiatria
accademica classica che, sebbene più organicista, svela posizioni cliniche
nettamente distanti da quelle di Clérambault.
Il problema della nosologia diventa, in questo senso, molto indicativo.
Fino a De Clérambault, da Morel a Kraepelin, il registro nosologico è quello
della catalogazione dei sintomi o della individuazione dei percorsi
etio-patogenetici. De Clérambault si pone piuttosto nella linea di Bleuler e
Freud nel decidere che il registro vada individuato nell'indice interpretativo
del sintomo[60].
Questo passo è di estrema importanza: ad un concetto descrittivo e
concreto subentra un concetto di funzione; alla lesione o all'agente lesivo,
apparentemente in continuità ma sostanzialmente - sul piano del metodo - in
modo alternativo, si sostituisce il meccanismo. E' indicativo, in questo senso,
che egli, nonostante la fede nell'origine tossinfettiva dell'Automatismo
Mentale, non abbia mai pensato a fondare una nosografia
attraverso le "cause", ma abbia invece sempre insistito sui
meccanismi che dalle cause originano. Le cause - persino il fenomeno della
cronassia - rimangono sullo sfondo, giustificazioni inerti di un quadro in cui
risultano solo necessarie, ma senza per altro acquisire alcuna incidenza sulla
dottrina. Le cause parlano semplicemente dell'impostazione organicista di De Clérambault;
il suo percorso e la sua attenzione clinica, tesa soprattutto alla
individuazione di meccanismi, confermano invece un'ottica "dinamica"[61].
Si registra infatti una apparente incongruenza nel percorso clinico di De
Clérambault: l'osservazione minuziosa, pur tesa a fini diagnostici
differenziali attraverso l'individuazione specifica delle cause etiologiche, non
propone alcuna inedita nosografia, ma accetta di comporsi in una nosografia già
esistente, sostanzialmente medica. L'attenzione clinica si orienta in verità a
cogliere non tanto i sintomi quanto i meccanismi. Paradossalmente, rispetto al
timore di Ey, la nosografia viene ad essere semplificata, unificata intorno a
pochi, semplici meccanismi elementari che, concentrandosi nella fase d'esordio
del quadro clinico, possono anticipare e spiegare l'intera nosografia classica
esistente svelandola quale sovrastruttura pletorica, inerte e descrittiva.
L'Automatismo Mentale diviene momento e aspetto meccanico elettivo,
capace di spiegare gran parte dei quadri descrittivi della psicosi. La logica e
il movimento interni al quadro, spiegandone la progressione e la costruzione,
ribaltano la giustificazione fatale e negativa attribuita alle psicosi sino a
tutta la seconda metà dell'800, e restituiscono alle costruzioni psicotiche i
caratteri di reattività positiva attraverso i quali il soggetto trova un
compenso e un adattamento tra la propria sofferenza e il mondo in cui, comunque,
sente di dover vivere. Bleuler e la
psicoanalisi, pur con soluzioni diverse, si muovono nella stessa linea: le
schizofrenie si ordinano secondo il concetto di Autismo, la psicoanalisi
riordina la storia del paziente nella convinzione della capacità del soggetto
di saper cogliere e determinare la qualità affettiva dei propri oggetti.
E' facile oggi sostenere, come proponeva Ey, che gli aspetti di anideismo
e di "neutralità" non siano primari ma attestino un'operazione, già
secondaria, del paziente di critica autonoma circa i propri fenomeni
dissociativi. Rimane, però, la descrizione di elementi che potremmo ancora
chiamare "puri", elementi degli esordi portati dal paziente come
coesistenza di elementi di Sé sani insieme ad elementi patologici. Nessuna
nosografia, ancora, si organizza a partire dagli stati acuti e ne ribadisce la
differenza (clinica, terapeutica e prognostica) più che la continuità rispetto
agli stati psicotici organizzati.
L'eco del pensiero, la fuga delle idee, la verbalizzazione degli atti,
gli automatismi psicomotori (fughe, gesti automatici), la sensazione di
estraneità, ecc..., ricorrono senza dubbio nella gran parte degli stati critici
e soprattutto agli inizi. Possono essere descritti anche negli stati
organizzati, ma il loro spessore risulta allora diverso: la sensazione di
estraneità si affievolisce e ciò che era un'eco è diventata una voce; le
fughe assumono il senso di atti impulsivi comandati, tentativi di raggiungere,
ora, uno scopo coerente al delirio. Non sono gli elementi nucleari in se stessi
a comporre il quadro che gli psichiatri crederanno poi specifico e differente da
altri, chiamando originale l'esito
di un processo iniziato molto prima e anche confondendo, nella descrizione dei
casi, effetti iatrogeni del loro stesso intervento.
Giuseppe RIEFOLO, Filippo Maria
FERRO [1]
Kraepelin considerava l'Erotomania
un sottotipo dei deliri di grandezza
della Paranoia, insieme ai deliri degli inventori, di discendenza
reale e dei profeti e santi. La paranoia era classificata in tre tipi:
persecutorio, di gelosia e di grandezza.
Fino al DSM III l'Erotomania non ha più alcuna specifica menzione
nella nosografia ufficiale. L'edizione rivista del DSM III (DSM III R)
recupera quasi integralmente la suddivisione kraepeliniana restituendo
specificità alla figura della Erotomania come descritta da De Clérambault:
i deliri di grandezza della Paranoia vengono suddivisi in due tipi,
erotomanico e somatico (cfr. P. Bercherie (1980), Les
fondements de la clinique, Navarin, Paris; J.H. Segal (1989), "Erotomania
revisited: from Kraepelin to D.S.M.III-R",
Am. J. Psychiatry, 146:10, 1261-66. Lo stesso Lacan riconosce la
continuità di De Clérambault da Kraepelin: «Clérambault conosceva bene
la tradizione francese, ma a formarlo è stato Kraepelin...» (J. Lacan
(1966), «Dei nostri antecedenti», in Scritti,
I, ed. it. (1974) Einaudi, Torino, p.61-62). [2]
Era nato a Bourges il 2 luglio
1872. Una sorella maggiore muore, a sette anni, quando Gaëtan ne ha cinque;
un fratello minore, Roger, morirà, anch'egli celibe, un anno prima di lui.
La madre tiene per 13 anni un diario in cui riporta (osserva
e descrive) accuratamente il figlio Gaëtan. Si trasferisce a Parigi a
13 anni per frequentare il
collegio Stanislas che frequenta brillantemente per 3 anni. Si interessa
alla musica e alla pittura; acconsentirà al desiderio del padre di studiare
diritto. [3]
G.
G.de Clérambault (1923), «Les Psychoses Hallucinatoires Chroniques» Bul.
Soc. Clin. Méd. Men., p.307, in: G.G. De Clérambault (1942), Oeuvres
Psychiatriques, P.U.F., Paris, p.470. [4]
Presso l'Infermerie
Psychiatrique de la Préfecture de Police (I.P.P.P.), che disponeva di
anche di venti letti, venivano
visitati dalle due alle tremila persone annualmente. De Clérambault dal
1905 al 1943 compila oltre 13.000 certificati che nel 1988 sono stati anche
argomento di una specifica tesi di dottorato in Medicina presso l'Università
L. Pasteur di Strasburgo (Y. Edel, Les
certificats de Clérambault, 1905 à 1914. Contribution
à l'étude clinique des phénoménes d'automatisme mentale dans les
certificats retrouvés aux Archives de l'Hopital Henri Rousselle) [5]
cfr.
Y. Edel, M. Melkonian (1988), «Une esthétique de la psychiatrie? Entretien
avec le Pr. Paul Sivadon», in: Preface,
6. (La stessa intervista è riportata nel catalogo della mostra: Gaëtan
GATIAN de CLERAMBAULT, psychiatre et photographe Centre Georges Pompidou,
21 février - 14 mai 1990. Appena dopo la mostra, nel novembre del 1990, è
stato pubblicato un libro-catalogo, dallo stesso titolo (collection Les
Empécheurs de Penser en Rond, Delagrange, Paris), molto più ampio,
curato da S. Tisseron, in cui sono riportate quasi tutte le foto attualmente
presenti presso gli archivi della fototeca del Musee
de l'homme di Parigi). [6]
J. Garrabè, L'Infermeria
speciale di Gatian de Clérambault, relazione letta II Congresso
Nazionale di Storia della Psichiatria: «Nosografia e Transnosografia» il
23 marzo 1991. Questa relazione è stata solo parzialmente riportata nel
volume degli Atti. [7]
«Egli non ha solo riportato
delle fini osservazioni, nè ha semplicemente delineato una teoria delle
passioni. Egli è esistito come passione...» (Y.
Papetti, F. Valier, B. de Freminville et S. Tisseron (1981), La
passion des etoffes chez un Neuro-psychiatre, Solin, Paris, II ed. (1990),
p.8. [8]
«...attraverso un mimetismo
nutrito di scienza, di osservazione e di affetto per il suo paziente, egli
delirava con lui. Era capace di identificarsi con ogni tipo di malati, di
qualunque età e professione»
(G. Heuyer, (1950), «G.G. De Clérambault», L'Encéphale,
XXXIX, pp. 413-489. [9]
«Il suo automatismo
mentale, con la sua ideologia meccanicistica da metafora,... ci sembra,
nella sua presa sul testo soggettivo, più vicina a ciò che si può
costruire con un'analisi strutturale che non qualsiasi sforzo clinico della
psichiatria francese» (J. Lacan (1966), Dei
nostri..., cit., p.61). Cfr. anche P.Francesconi (1983), «Una passione
dalla parte dell'oggetto», Freudiana,
3, p.132. [10]
La citazione è riferita alle tesi del maestro Magnan e di
Seglas. Cfr. P. Bercherie (1980),Les
fondements de la clinique, Seuil, Paris, p. 132. [11]
(vedi la descrizione di Le Figaro: nota da completare) [12]
Riportiamo la traduzione francese a sua volta ripresa
dall'originale in arabo: «O vous qui êtes venu visiter nos tombeaux un
jour/ Souvenez-vous de l'assaut de la mort./ Ne
soyez pas vaniteux./ Combien de ceux qui croyaient être/ indemnes, ont étè
engloutis dans la fosse./ Soyez dévot et pieux dans cette vie,/ vous
trionpherez.(cfr. S. Tisseron (a cura di), (novembre 1990), G.G.de
Clérambault psychiatre et photographe, p.62). [13]
E'stata presso il
Musée de l'Homme di Parigi fino a quando gli eredi, signori
Chevalier, hanno ottenuto che fosse depositata sulla tomba al cimitero di
Malakoff. [14]
E' esemplare il caso di Marie in: P. Janet (1889), L'automatisme psychologique, Alcan, Paris. [15]
Un confronto fra i due tipi di automatismo viene proposto già
all'epoca da A. Delmas (1927), «A propos de l'Automatisme Mental», Ann. Méd. Psychol., t. II. 508-517. Cfr. anche l'intervento di Lévy-Valensi
al XXXI congresso di Blois del 1927 degli Alienisti e Neurologi di Francia e
dei Paesi di lingua francese (L'Automatisme
Mental dans le delires systematises ...) in cui l'A.M. viene inteso
soprattutto secondo i punti di vista di Janet e della scuola della
Salpetriere. [16]
«La sindrome di Automatismo Mentale non poggia affatto su un concetto di
attività psichica come accade per l'automatismo di Janet, ma su una
descrizione clinica.» (H. Beauchesne,
(1986), Histoire de la psychopathologie, P.U.F., Paris, p.113). [17]
J.H.
Jackson, «Speech affections from brain disorders», Selected
Writings of John Hughlings Jackson, J. Taylor Staple Press, London,
1958, p.157. [18]
G.G. De Clérambault, (1925), «Psychose
à base d'automatisme (premier article)», in: G.G. de Clérambault (1945), Oeuvres
Psychiatriques, P.U.F., Paris, p.540.
Questo articolo ed un altro precedente (Automatismo
mentale e scissione dell'Io, 1920) sono già apparsi in traduzione
italiana nel 1983 nella rivista Freudiana,
3, pp.135-157. [19]
«L'allucinazione uditiva propriamente detta e l'allucinazione psico-motoria
sono fenomeni che vengono posteriormente nel decorso dell'Automatismo
Mentale. Le intuizioni, il pensiero anticipato, l'eco del pensiero e i
non-sensi sono i fenomeni iniziali dell'Automatismo Mentale...» (G.G.
De Clérambault, (1927), «Psychose à base d'automatisme et Syndrome d'automatisme»
Ann. Méd. Psychol., fev., p.193;
in: Oeuvres..., p.467). [20]
G.G. de Clérambault, (1925), cit.,
pp. 529-30 e 536.
[21]
J. Seglas, (1892), Les
troubles du langage chez les aliénés, Rueff, Paris. [22]
J.H. Jackson, «Words and other
symbols in mentation», S.W., II. [23]
Nel tentativo di rintracciare il modello del concetto di "costante
temporale" Jackson propone che si tratti di «...una specie di
rappresentazione della sistole cardiaca nei centri nervosi superiori...» (Remarks
on evolution and dissolution..., in: S.W.,
II, p. 98). La «costante del tempo» viene definita come qualcosa
che «...non è nel concetto di tempo; essa è ciò per cui i tempi (come
successione dei nostri stati oggettivi) è resa possibile» (ib.,
p. 111). [24]
B. Balan, (1990), «Les fondaments
psychologiques de la notion d'automatisme mental chez John Hughlings Jackson»,
Inf. Psychiat.,
1, pp. 50-61. [25]
I Prefetti erano stati istituiti da Napoleone a capo dei dipartimenti
dell'Impero. Dal 1850 viene affiancato, ma solo a titolo consultivo, da un
medico alienista. Il primo responsabile del Depot della prefettura di
polizia, posto presso il palazzo di giustizia, è Laségue. Dal 1872 viene
adibito un locale separato ad "Infermeria speciale". [26]
G. Riefolo, A. Gaddini, (1992), G.G.
de Clérambault: il metodo della clinica e la critica alle nosografie;
relazione al II Congresso Nazionale di Storia della Psichiatria, «Nosografia
e Transnosografia», Siena marzo 1991, atti in: Quaderni Internazionali di Storia della Medicina e della Sanità, 3,
pp. 183-189. [27]
G.G. de Clérambault, (1925), cit.,
p.535. Il terzo punto è preso integralmente da Magnan (Leçons
cliniques sur les maladies mentales, 1ére série, Progrés Médicale,
II ed. augmentée, p. 194. [28]
G.G. de Clérambault, (1923), intervento
alla discussione della relazione di Serieux e Codet «Un délire de
persecution bienveillante», Ann. Méd.
Psychol., p. 359; in: Oeuvres...,
cit., p. 469.
[29]
Y. Edel, M. Melkonian, (1988), Une esthétique del la psychiatrie?, catalogo della mostra..., cit. [30]
«Gli alienati che per tutta la vita rimangono internati, divengono, per
questo, inoffensivi; fra quelli che sono dimessi un gran numero viene a
costituire, a gradi diversi, una minaccia per la sicurezza delle persone, o
comunque per la loro tranquillità. Quasi tutti sono un pericolo per la
razza... La società ha interesse per il divorzio dei degenerati. L'avvenire
della razza, finora, non è stato sufficientemente preso in considerazione
dal legislatore...» (Intervento di De Clérambault alla discussione della
relazione di P. Juquelier et A. Fillassier, «Quelques documents sur la
question "Alienation Mentale et divorce"» Ann.
Méd. Psychol., 69,
pp. 456 e 461. Nella seduta del 24 aprile 1911, assume una posizione
molto intransigente sul problema del "Servizio militare di leva":
«...non vi è individuo tarato che non presenti molte possibilità
di provocare catastrofi. Nella migliore delle ipotesi, essi
rappresentano un peso morto e delle bocche assolutamente inutili», p. 130).
[31]
«L'internamento di lunga durata dovrebbe poter essere deciso non in ragione
di un reato attuale, ma in relazione alla natura stessa del malato...» (G.G.
de Clérambault, (1911), «Les quartiers d'observation et les asiles pour
debiles et incapables. Rapport sur un travail de M. Erwin Stransky», Ann. Méd. Psychol., 69, p. 297.
[32]
cfr.
E. Ey, (1948), «Etude n°5, Une théorie mécaniciste: la doctrine de G. de
Clérambault»; in: Etudes
psychiatriques, Desclée de Brouwer, Paris, pp. 63-82. [33]
G.G. de Clérambault, (1923), intervento alla discussione della relazione
di Capgras «Quelques variétés
d'Erotomanie», Bul. Soc. Clin.
Méd. Ment., juin 1923, p.
199; in: Oeuvres..., p. 414. [34]
G.G. de Clérambault, (1925), cit.,
p. 529. [35]
«siamo degli esseri guardati» (J. Lacan, (1964), «La schisi fra occhio
e sguardo»; in: Il Seminario libro
XI, ed. it. Einaudi, Torino, 1973, p. 77). [36]
G.G. de Clérambault, (1935), Souvenir
d'un médecin opéré de la cataracte, Hippocrate, Paris; in : Oeuvres...,
cit., p. 821. [37]
«Poi mi conducono dal Maestro, uomo magro, acuto e sorridente; l'aspetto
potrebbe essere di un artista, magari di un artista romantico, se non si
sentisse in lui un atteggiamento, come per partito preso, di osservazione,
di minuzia e di metodo...» (G.G. de
Clérambault, «Souvenir d'un médecin opéré de la cataracte» in: Oeuvres...,
p. 827. [38]
E. Renard, (1942, Le
docteur Gaëtan Gatian de Clérambault. Sa
vie et son oeuvre, 1872-1934, Tesi per il dottorato in Medicina)
propone l'ipotesi suggestiva che De Clérambault sia stato vittima a sua
volta di una sindrome di Automatismo Mentale e che per questo si sia
suicidato. Nell'articolo apparso su Le
Figaro tre giorni dopo la morte, si parla di «neurastenia...,
difficoltà economiche...paura di divenire cieco». Inoltre: «Seduto in
una poltrona, di fronte ad uno specchio, i piedi poggiati al muro, il
dottor Clérambault si è ucciso
con due colpi. La morte è stata immediata. Il suicidio era stato
certamente premeditato da tempo...».
[39]
S. Tisseron, (1990), L'insistante
présence d'un regard sans yeux, Catalogo della mostra "Gaëtan
Gatian de Clérambault..., cit. [40]
J. Lacan, (1964), «La linea e la luce»; in: Il
Seminario libro XI, cit., pp. 93-106. [41]
Da Platone Lacan propone l'immagine del «pensare col proprio oggetto».
[42]
id., p. 98. [43]
J. Lacan, (1964), «Che cos'è un quadro?»; in: Il
Seminario libro XI, cit., p. 113. [44]
S. Tisseron, (1990), L'insistante
présence d'un regard sans yeux; Catalogo della mostra..., cit. [45]
«Un processo affettivo organizza la sindrome, mentre le condizioni
esterne all'affettività (immaginazione, paranoia, predemenza, etc.) ne
regolano l'evoluzione» (G.G.de Clérambault, (1923), cit.
p. 415). [46]
J. Lacan, (1964), «La schisi fra occhio e sguardo»; in: Il Seminario libro XI, cit., p. 76. [47]
cfr., ad esempio la relazione molto naive di Hesnard alla seduta del 25
aprile 1927 della Soc. Méd. Psichol.
(«A propos des applications de la méthode psychanalytique à la
clinique psychiatrique courante» pp.488-507) in cui, comunque, oltre una
presentazione molto scolastica dei concetti della psicoanalisi, viene
tentata una sintesi tra tesi
dell'Automatismo Mentale e psicoanalisi: «IL culto che professo per
l'opera e la personalità di De Clérambault mi autorizza a proporre un
mio contributo alle sue teorie: secondo me, questo Automatismo, che abbia
origini lesionali o meno, non è un meccanismo puro... Si tratta di un
Automatismo affettivo, che
obbedisce, cioè alle leggi dedotte dalla psicologia affettiva. Tra il
danno fisico supposto (e verosimile) e il sintomo Automatismo, esiste una neoproduttività
psichica di natura affettiva» (pp.494-5). [48]
Ey che nel 1932 ironizzava come gli psicoanalisti "...vedono il
rimosso dappertutto".
[49]
Peraltro introdotta in Francia soprattutto attraverso il movimento
surrealista prima ancora che da interessi squisitamente clinici... [50]
Lacan, con D. Lagache e P. Sivadon, sostanzialmente si forma alla scuola
dell'I.P.P.P. Fra i suoi primi lavori è da segnalare un articolo del '33,
fatto in collaborazione di G. Heuyer, in cui si riconsiderano le posizioni
di Laségue e di Clérambault sull'alcolismo («Alcoolisme subaigu à
pouls normal ou ralenti. Co-existence
du syndrome d'automatisme mental»;
Ann. Méd. Psychol., 91, t.II, 531-546).
[51]
Cfr. T. Vincent (1984), «De l'automatisme
mental à la forclusion. Notes sur l'influence de De Clérambault sur la
pensée lacanienne», Ev. Psychiat., 49, 4, 1119-31
[52]
G.G. De Clérambault (1925), «Du role
de l'affectivitè dans les psychoses hallucinatoires chroniques»; Ann.
Méd. Psychol.,
seduta del 25 aprile 1927, p.517; in: Oeuvres...,
p.587.
[53]
J. Lacan, seminari sulla psicosi,
1956-'57 ( una sintesi dei primi due seminari è nell'articolo «Una
questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi», in Scritti
II, Einaudi, 1966. La citazione è in: M. Czermak (1990), Lacan,
psychiatre et élève de Clérambault, Catalogo della mostra..., cit.
[54]
Vedi il tema recuperato dalla psicopatologia classica attraverso Lacan e
la sua scuola delle "follie isteriche". Una esauriente sintesi
del problema è nella monografia di J.C. Maleval (1981), Folie
Hystériques et psychoses dissociatives, Payot, Paris.
[55]
G.G.De Clérambault (1928), Classification des costumes drapés (relazione alla Société d'Ethnographie
de Paris, seduta di sabato 5 maggio); cit. in: Y. Papetti... (1981),La
Passion des..., cit., p.49
[56]
«...un uomo degno di stima e di ammirazione, isolato dal suo stesso genio»
(H Ey,..., p.69)
[57]
J. Lacan
(1966), Dei nostri..., in: Scritti
I, cit., p.62.
[58]
«...Questo insieme di dettagli e sfumature, quando rilevati con
esattezza, devono permettere di sospettate e persino di affermare che un
delirio è dovuto al cloralio e non ad altri agenti tossici, nè a cause
endogene o infettive.» (G.G.De Clérambault
(1909), «Du diagnostic différentiel des délires de cause chloralique»,
Ann. Méd. Psychol., t.X, p.220;
in: Oeuvres..., p.145).
[59]
G. Heuyer, (1950), cit.,
p. 422.
[60]
L'Automatismo Mentale che come l'Autismo o il significato inconscio dei
sintomi è alla base del quadro sintomatologico. Persino il concetto di "Discordance"
che Chaslin tenta di opporre a quello di Autismo è più di ordine
descrittivo che interpretativo. Cfr. G. Lanteri-Laura (1981), «Il
contributo di Philippe Chaslin e di Eugen Bleuler alla nozione di
schizofrenia», Clinica, 3, pp.33-42).
[61]
Ey segnala, riprendendo P.Guiraud,
che «in fisica la dinamica non è che un caso particolare della meccanica»
(H. Ey (1948), Etudes..., cit.,
p.65n). E' evidente che De Clérambault rimane a tutti gli effetti uno
psichiatra "meccanicista". Quello che per noi può essere
importante cogliere è come questa posizione "dinamista" in Clérambault
risulti di estrema importanza nella descrizione e differenziazione degli
stati di esordio della psicosi rispetto agli stati di stabilizzazione
(cronicità).
Questo contributo è la postfazione all'edizione di una cospicua raccolta di
articoli di Clérambault sul tema delle Psicosi Passionali e dell'Automatismo
Mentale (G.G. De Clérambault, Automatismo
Mentale, Psicosi Passionali, Métis, Chieti, 1994) in parte costruita sul
modello dell'Oeuvre Psychiatrique apparsa nel '42, a otto anni dal suicidio del
discusso e geniale psichiatra parigino, a cura delle Presses Universitaires de France, diventato ben presto, per le
vicende belliche, una edizione introvabile, interessante per i bibliofili ma di
difficile consultazione per psichiatri, psicologi e psicoanalisti. La traduzione
italiana è una edizione critica dell'originale. |